Ferrando, guerra e media: «Una volta le fake arrivavano dall’alto, ora anche dal basso»

La seconda parte dell'analisi del fondatore del Partito Comunista dei Lavoratori e il commento sul ruolo dei media nella narrazione della guerra

19/04/2022 di Matteo Forte

Un altro aspetto che è stato analizzato nella disamina di Marco Ferrando, fondatore del Partito Comunista dei Lavoratori che abbiamo intervistato per avere un punto di vista storico e critico sul ruolo dei mass media nel corso dell’invasione in Ucraina, è stato quello del comportamento del giornalismo in questo mese e mezzo di conflitto. Come il giornalismo dovrebbe documentare una guerra, muovendosi anche attraverso gli ostacoli innalzati dalla propaganda di parte, inevitabile, e come invece la sta raccontando in questa fase.

«Un conto è la realtà del giornalismo e un conto è il dover essere del giornalismo – spiega Marco Ferrando a Giornalettismo -. Quest’ultimo dovrebbe essere l’accertamento e la documentazione della realtà oggettiva delle cose perché i fatti sono fatti. Questo vale sempre e a maggior ragione nel panorama dell’attuale guerra. Devo dire che, in qualche caso virtuoso, si sta verificando anche in questi giorni: ci sono diversi inviati sul campo che stanno svolgendo un lavoro importante di documentazione, di raccolta di testimonianze su fatti e crimini di guerra. Questo serve a demistificare le varie narrative propagandistiche a volte di diverso segno».

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Il ruolo del giornalismo in Ucraina: la guerra raccontata dai giornali

Internet è al centro ci sembra di capire. È decisamente lo strumento più potente della storia fino ad oggi per influenzare le popolazioni anche in tempi di pace. Lei non crede oggi più che mai serva riaffermare il ruolo della verità oggettiva? Diciamo per essere più precisi “il giornalista sul campo”, di fatto il testimone oculare?

«Il giornalismo com’è, al netto delle lodevoli eccezioni, è un’altra cosa. L’orientamento dei grandi ordini di stampa che intruppano i giornalisti è quello dei gruppi finanziari che li controllano. Molto spesso, anche per un riflesso condizionato e per una sorta di spirito di autoconservazione, ci sono giornalisti che si allineano a quello che dice la proprietà. Oggi il quadro è un po’ più preoccupato perché c’è, appunto, tutto lo spazio della comunicazione su internet e sui social network che allarga enormemente il protagonismo collettivo nell’intervento, nella denuncia e persino nella comunicazione di fake».

Le fake news sono sempre esistite?

«Una volta le fake news venivano solo dall’alto, adesso – invece – arrivano anche dal basso. La risultante è la moltiplicazione delle fake. Questo produce un inevitabile disorientamento anche di fronte a un fatto inequivocabile, c’è il dubbio. Certo, la propaganda di guerra anche in passato ha confezionato le peggiori cose. L’invasione in Iraq è avvenuta nel nome della ricerca delle famose armi di distruzioni di massa che si è rivelata essere una falsa informazione di altissimo livello, con tutto il giornalismo che applaudiva in modo estatico alle ragioni della guerra. Nessuno si è dimesso di fronte a questa cosa».

Come si sta comportando la stampa nel racconto del conflitto in Ucraina e qual è la portata della sua influenza sull’opinione pubblica?

«La cosiddetta mobilitazione dell’opinione pubblica fa passi da gigante. Organi di stampa che vengono da una tradizione progressista, democratica, liberal, oggi sono al fronte letteralmente parlando. Ho letto editoriali di organi di stampa autorevoli che sostengono che per avere la pace bisogna prepararsi alla guerra. Toni, che sarebbero stati impensabili anche solo 5 o 6 anni fa, oggi sono parte del vocabolario corrente».

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