Faccia d’angelo: la storia della Mala del Brenta

UN CARTELLO CRIMINALE – L’organizzazione, l’alleanza di Maniero con i vari gruppi criminali regionali è salda e gerarchicamente accentrata su di lui. Ci sono i veneziani dei fratelli Rizzi, che hanno il controllo della città “dal Ponte della libertà” in giù; oltre il ponte ci sono “i mestrini”, di Mestre insomma; a nord, sopra Venezia e fino al confine friulano, c’è la banda di San Donà di Piave, capeggiata da Silvano Maritan, e oltre Mestre, fino a Padova, regna Felice Maniero, che tanto regna comunque visto che tutti quanti devono comprare la droga da lui – che, a sua volta, la acquista dalla mafia palermitana, dalla camorra e dalla stessa Colombia – per differenziare – così come l’eroina, che Maniero compra direttamente dagli spacciatori turchi. Tutti al proprio posto, tutti inquadrati, nessuno sgarra dalla rigida organizzazione di Felice Maniero: chi ci prova, muore. E’ il caso dei fratelli Rizzi, protagonisti di quella che voleva essere una scissione “interna” per aumentare la propria fetta di mercato ai danni del gruppo di Mestre: i Rizzi uccidono uno dei loro migliori spacciatori, Giancarlo Millo, detto il “marziano”, fedele a Maniero. Sei mesi dopo i Rizzi vengono invitati ad un meeting criminale sulla terraferma, con una scusa: Felice aveva detto di voler organizzare con loro un’azione criminale. Invece, li ucciderà a sangue freddo e metterà al vertice della cosca di Venezia un uomo fidato. Un altro esponente del cartello criminale viene ucciso ad Eraclea Mare perché aveva scelto di rifornirsi di droga anche autonomamente, mettendo in discussione il monopolio di Maniero.

GLI ARRESTI E LE EVASIONI – Rimarranno nella cronaca i suoi rapporti personali con il presidente croato, con cui si era accordato per favorire l’ingresso di armi e di droga oltreconfine. Tutto, nel nordest che diventava ricco, era di Felice Maniero: la droga, le rapine, la ricchezza, le case da gioco. La sua mala del Brenta era diventata velocemente una realtà criminale operativa di primissimo ordine, per una parabola che, per quanto breve sia stata, ha lasciato il segno: si ricordano le sue alleanze operative con la mafia, la camorra, le organizzazioni estere come la mafia dei marsigliesi. Parabola che declina velocemente dopo il pentimento del grande capo, di Felice Maniero, arrivato nel 1995 dopo l’ennesimo arresto: già, perché nella storia di Faccia d’Angelo c’è anche una serie di rocambolesche evasioni. Nel 1987 evade dal carcere di Fossombrone, peraltro insieme a Giuseppe di Cecco, membro della colonna milanese delle Brigate Rosse; riarrestato nel 1993 viene portato nel carcere di Vicenza, dove tenta di evadere corrompendo due secondini, che però vuotano il sacco un attimo prima che il piano venga messo in opera: allora il detenuto viene portato a Padova, nel supercarcere che doveva essere inespugnabile e che invece, grazie alla corruzione dell’ennesima guardia carceraria questa volta andata a buon fine, è il carcere da cui Maniero riuscirà ad evadere insieme al suo braccio destro, Antonio Pandolfo, e ad altri fedelissimi. L’evasione segnala il punto più alto del criminale del Piovese, e, dunque, anche l’inizio della sua fine.

Share this article