Faccia d’angelo: la storia della Mala del Brenta

TERRA CRIMINALE – Felice Maniero nasce a Campolongo Maggiore, sulla strada che va da Padova a Chioggia, che corre verso sud, verso la parte bassa della laguna di Venezia. Il padre, Ottorino Maniero gestisce un piccolo locale bar trattoria in cui non mancano traffici non del tutto chiari: ha un carattere irruento, beve e, insieme al fratello Renato, è parte della banda di Adriano Toninato, un bandito che si occupa principalmente di furti di bestiame, un criminale vecchio stampo soprannominato “Il Giuliano della Valpadana”, come lo storico criminale siciliano insomma. Toninato, scrivono i libri su di lui, aveva creato la mala del bestiame per fame: fra Piove di Sacco e Campomaggiore, in queste terre paludose, nel dopoguerra c’è solo fame e povertà. Felice Maniero cresce in questo humus fertile, ma punta molto, molto più in alto. Impara dai ladri di bestiame l’Abc del crimine, ma guarda lontano: mentre lui cresce – è nato nel 1954 – cresce anche il veneto che, quando Felice si affaccia all’età utile per fare un po’ di bisboccia, è diventato ricco. Ricco d’oro, principalmente, se si pensa che nella regione veneta viene lavorato il 25% del biondo metallo mondiale. Così, Felice mette in piedi la sua banda: è ambizioso, non si ferma davanti a niente, tanto da riuscire a mettere sotto scacco, e a sistema sotto il suo controllo le preesistenti organizzazioni criminali che erano dedite allo spaccio di droga.

DIVENTARE RICCHI – Gli stupefacenti saranno uno dei mercati principali della mala del Brenta: insieme alla droga, comprata dalla mafia o dall’estero e rivenduta al dettaglio in tutto il Veneto, ci sarà il racket dei Casinò e delle bische illegali, le rapine agli uffici postali, alle gioiellerie e alle imprese, così come la sottrazione di opere d’arte illegali finalizzate al ricatto nei confronti dello stato. Felice Maniero e i suoi criminali del Brenta saranno banditi a tutto tondo, sempre concentrati a fare più denaro, più soldi, più ricchezza anche per soddisfare la sete di lusso di Faccia d’Angelo, insaziabile in questo senso. I soldi, in questi anni ruggenti, sono ad esempio al Casinò di Venezia, dove Maniero si dirige ad armi spianate per prendere il controllo del mercato dei cambisti: sono i personaggi che cambiano assegni a tassi da usura a tutti i disperati che hanno lasciato al banco tutto quello che avevano portato e, divorati dal demone, devono giocare ancora, e ancora, e ancora. Dopo un’iniziale resistenza, qualche pallottola nella testa giusta aiuta ad ammorbidire anche i più dubbiosi, e l’intero mercato finisce sotto il controllo di Maniero, che pretende il 50% di tutti i ricavi dei cambisti.

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