Durante la pandemia, l’usura è passata per WhatsApp, Snapchat e Facebook

L'analisi di Illegal Money Lending Team (IMLT) per la Gran Bretagna mostra un problema di cui dovremmo preoccuparci anche noi

10/05/2021 di Redazione

La pandemia da nuovo Coronavirus ha modificato le abitudine delle persone, anche nei loro rapporti umani. Distanziamento sociale e incontri sempre più rari per sfuggire al contagio e alla malattia. Un evento epocale che ricorderemo per anni e che finirà sui libri di storia delle generazioni future. Questo cambiamento è avvenuto anche per quel che riguarda la criminalità (e i reati in genere). In passato, con report di fine anno, abbiamo analizzato come la pandemia abbia fatto crescere i fenomeni criminali in rete (dal revenge porn al cyberbullismo, fino alle truffe). Oggi, però, emerge un altro espediente utilizzato dagli strozzini per mantenere vivo il loro business nonostante le restrizioni: il fenomeno dell’usura social.

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La notizia arriva dal Regno Unito, ma dovrebbe far aprire gli occhi anche in Italia. Il rapporto annuale è stato stilato dalla Illegal Money Lending Team, organizzazione che si occupa di perseguire i “prestatori di denaro a strozzo” a aiutano le vittime di usura. E da questo report è emersa questa nuova tendenza-fenomeno: sempre più usurai hanno utilizzato le piattaforme social (da Facebook a Whataspp, senza tralasciare un’app ancora molto in voga in Gran Bretagna come Snapchat) per entrare in contatto con le persone in difficoltà e procedere con i loro “prestiti”.

Come riporta il The Guardian, le chat e i gruppi social sono solamente alcune delle piattaforme utilizzate per portare avanti questo fenomeno di usura social. Il quotidiano britannico, per esempio, racconta la storia di una donna entrata in contatto con il suo strozzino attraverso un’app di incontri. E questa è solamente una delle tante declinazioni di questa vicenda che racconta lo stato malato di una società.

Usura social, gli strozzini hanno utilizzato il web durante la pandemia

Ma come agivano questi usurai sui social? Il principio era (e, purtroppo, è) molto semplice. Su Facebook, per esempio, creavano (e creano tutt’ora) alcuni gruppi che sembrano essere “locali” (come quelli di quartiere) per creare una sorta di affiliazione. Da lì entravano ed entrano in contatto con gli utenti e – sfruttando le difficoltà economiche provocate dalla pandemia – proponevano i loro prestiti. Alcuni hanno accettato, entrando in un vero e proprio incubo fatto di ricatti. Il tutto alla luce dei social. Perché le minacce si palesavano e si inerpicavano proprio attraverso le piattaforme. Come chi è stato minacciato di pubblicazione di foto e video compromettenti, o chi è stato messo alla berlina proprio sui social per non aver onorato il debito.

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