Così la pandemia ha aumentato il digital divide degli italiani

L’intervista a Dino Maurizio, direttore di “Informatici senza Frontiere”, associazione che si occupa da anni di nuove disuguaglianze digitali, sul rapporto tra gli italiani e la rete durante questi lunghi mesi di pandemia

09/04/2021 di Daniele Tempera

Sono stati mesi intensi, vissuti spesso a distanza dagli schermi dei nostri device. Mesi in cui termini come smart working e Dad sono entrati nel lessico comune di molti italiani e in tanti hanno sperimentato sulla loro pelle le nuove disuguaglianze che attraversano la nuove era digitale. Ne abbiamo parlato con Dino Maurizio, direttore della Onlus Informatici Senza Frontiere che da anni si occupa di colmare il digital divide e lavorare sulle pari opportunità.

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Digital divide e effetti dello smart working

In che modo il Covid ha impattato sulle famiglie italiane dal punto di vista digitale?

«La pandemia ha messo in difficoltà parecchie famiglie su due aspetti, in primis sulla capacità di avere dispositivi digitali e l’altro sulle connessioni. In molte case ci sono tre o quattro persone che devono collegarsi contemporaneamente per studiare e lavorare: il problema è riuscire a farlo con una banda limitata, una dinamica molto comune nei piccoli centri, ma talvolta anche in città più grandi e che riguarda sia le famiglie, sia le imprese. Il digitale è ormai cruciale in ogni aspetto della nostra esistenza».

Qual è lo stato della connettività in Italia? E come sta andando il piano di Banda Ultralarga varato nel 2015 al momento?

«In molti centri piccoli non solo non esiste banda ultralarga, ma non esiste proprio banda accettabile, a volte si ricorre al wifi solo per navigare in rete. È innegabile che siamo un po’ indietro, al momento siamo ancora molto in sofferenza. Lo Stato deve collaborare con i privati e incentivare l’utilizzo della fibra».

È solo una questione di reti o c’è dell’altro?

«Non è solo questione di banda, ma anche di conoscenza del digitale, se andiamo a vedere i dati siamo indietro, ma non tanto sulla connettività. C’è un gap certo, ma non enorme tra noi e il resto d’Europa per quanto riguarda le connessioni. Sono molto più preoccupato del buon uso della rete: per utilizzarla al meglio ci vuole la cultura e la consapevolezza di quello che è giusto e possibile fare. Questo può trasformarsi realmente in innovazione per le imprese e maturità per le persone».

Manca un’educazione al digitale? E chi è più penalizzato?

«Ai nostri ragazzi non viene insegnato come utilizzare la rete: se  sui social sia giusto postare una certa foto o meno. Su questo c’è molto da fare, e non solo in Italia. Una cultura da questo punto di vista è doverosa, ma è importante anche per le imprese e per le istituzioni. Fare innovazione sana vuol dire contribuire a una società migliore e le possibilità che dà il digitale sono enormi. Si pensi, ad esempio, al vantaggio di riuscire a fare telemedicina, come questa pandemia ci ha dimostrato».

Quale potrebbe essere il costo del digital divide?

«Il rischio è quello di non fare più innovazione e quindi prodotti non appetibili dal mercato, quello di avere un deficit di istruzione che lascerà indietro molti giovani, già spesso costretti ad andare a studiare all’estero. Lo Stato deve cambiare marcia, il mondo oggi si muove velocemente e la vecchia burocrazia non aiuta, ci sono da cambiare veri e propri paradigmi».

Chi ne soffre di più?

«Quelli che soffrono di più sono i ragazzi, ma non trascurerei le imprese: se riescono a utilizzare bene il digitale hanno ormai opportunità di business enormi, realizzare prodotti che sono importanti per la vita delle persone e per il loro business. E poi è essenziale anche l’utilizzo del digitale da parte del pubblico: abbiamo fatto tanti tentativi con la carta unica, ad esempio, ma siamo ancora indietro. Bisogna fare del buon digitale, ovvero puntare su etica e innovazione». 

Di cosa parliamo quando parliamo di reti e connessioni?

«Quando parliamo di reti, parliamo di comunicazione. Quando possiamo scambiare dati in tempo reale, la nostra vita migliora. Ad esempio, se riesco a effettuare un elettrocardiogramma o una tac a distanza, questo mi permette di arrivare anche in posti poco accessibili. O si pensi, sempre a livello medico, se il dottore riesce ad accedere digitalmente alla cartella clinica di un paziente: sarebbe molto più facile accedere alle cure più tempestive ed efficaci. Quando noi parliamo di banda larga parliamo di comunicazioni: più i dati possono essere scambiati, più è facile elaborarli a nostro vantaggio».

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