Cosa succede quando si inserisce un cd in un lettore

Il trasferimento e la lettura dei dati dei cd sono sempre stati dei passaggi caratterizzanti e che hanno garantito la diffusione di brani musicali (e non solo) in alta qualità

02/03/2023 di Redazione Giornalettismo

Questione di pit e questione di land. Il CD è stato per anni il supporto maggiormente utilizzato per memorizzare gli audio digitali e per la loro riproduzione. Per questo ha rappresentato una novità che, a 40 anni di distanza dal suo primo impiego in ambito musicale, rappresenta ancora oggi un valido modo per ascoltare il nostro cantante preferito. Ovviamente, si tratta di una cosa molto vintage che, quindi, si posiziona in un segmento di mercato molto diverso rispetto a un tempo. Diciamo che, ormai, ascoltare un audio su CD è diventato qualcosa da cultori della musica e non più un’azione di consumo (quest’ultima, oggi, è rappresentata sicuramente dall’ascolto delle tracce sulle piattaforme di streaming). Ma come funziona un CD? Cosa avviene esattamente quando il disco viene inserito in un lettore (all’interno di un device o specifico)? Come si verifica quella “magia” per cui – in maniera invisibile – una grande quantità di dati passa da un supporto leggero e maneggevole a diventare musica?

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Come funziona un CD: come avviene la lettura dei dati

Com’è noto, il CD presenta una parte metallizzata e una parte opaca. Su quest’ultima superficie vengono impressi i pit e i land: i primi sono le parti “stampate”, le seconde sono le “pause”. La lettura di pit e land – attraverso il sistema binario tipico dell’informatica – trasmette le informazioni necessarie per la riproduzione del messaggio. Il lettore CD opera attraverso un diodo laser: il volume di pit e land causa una sorta di interferenza nel raggio laser che “traduce” il linguaggio binario stesso. Una volta che questi elementi fisici sono diventati dati, il supporto di lettura sarà in grado di codificare il messaggio che era stato trascritto sul CD.

Le tracce musicali sono contenute all’interno dell’area centrale del CD. Questa è propriamente l’area che viene sottoposta al processo di lettura per restituire la traccia musicale. Ma ciò non esclude, invece, che nei CD (che per comodità definiamo “originali”) ci fossero anche altri dati sul resto della superficie opaca del disco. Questi ultimi erano quelli che servivano a identificare l’unicità del prodotto (esattamente come il codice ISBN determina l’unicità di un libro stampato) o alcuni dati di protezione che – teoricamente – dovevano impedire la copia del CD stesso.

Chi, però, ha vissuto gli anni Novanta ricorderà che non tutti i CD sono compatibili per la scrittura e per la lettura. Lo standard del CD scrivibile era quello CD-R (che era la sigla che si ritrovava sulla tipologia di CD più acquistata da chi desiderava “comporsi” le proprie playlist personalizzate). Il CD-R poteva essere utilizzato anche nei lettori CD e questo ha permesso la diffusione, sempre più vasta e frequente, di CD pirata che riproducevano in maniera praticamente uguale tracce musicali coperte dal copyright. Per questo, a un certo punto dell’evoluzione, c’è stata una grande diffusione di masterizzatori: si trattava di supporti in grado di riprodurre i contenuti all’interno di un CD per scopo di backup. Ovviamente, la maggior parte dell’utilizzo dei masterizzatori riguardava non il backup di un CD per la conservazione sicura dei suoi dati, ma per la copia (illegale) dei contenuti al suo interno. La copia corretta dipende da tanti fattori ed esistevano riproduzioni migliori o peggiori. Tuttavia, l’errore di una riproduzione non era modificabile: da questo dipendeva, in maniera molto intuitiva, la qualità di un CD masterizzato.

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