Il cambio di strategia di Airbnb quando, nel mondo, si punta a regolamentare gli affitti brevi

Airbnb cambia le carte in tavolo: in che modo tutto questo c'entra con le recenti politiche più restrittive sugli affitti brevi che stanno prendendo piede nel mondo?

06/10/2023 di Ilaria Roncone

La strategia di Airbnb sta cambiando. Come abbiamo spiegato nel primo pezzo di questa giornata attraverso le parole del fondatore della società Brian Chesky al Financial Times, si punta a presidiare quella che viene definita una fetta di mercato inesplorata: gli affitti di due, tre mesi – fino a un anno – che possono interessare studenti, lavoratori in smart working. Le categorie – o parte delle categorie – che in Italia, e non solo, stanno sperimentando difficoltà nel trovare alloggi in tutti quegli agglomerati urbano più ricchi di possibilità e di opportunità sia a livello lavorativo e di studio.

In Italia, nello specifico, parliamo di città come Roma, Milano, Bologna, Firenze, Venezia: quei luoghi dove i neo diplomati si trovano spesso a doversi trasferire per studiare, quei luoghi dove capita di avere questo tirocinio o quel periodo di prova per una nuova opportunità lavorativa, con la necessità di affitti brevi ma non così brevi. Un mercato che, finora, non è stato coperto tanto quanto sarebbe servito e che Airbnb punta a colmare riducendo il suo impegno negli affitti brevi. Ragionamento lineare, certo, ma è molto probabile che dietro questo cambio di rotta – che avrebbe dovuto già prendere piede dopo la pandemia ma che è stato rimandato – ci sia altro.

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Il cambiamento delle politiche nel mondo nei confronti di Airbnb

Facciamo il punto della situazione rispetto a ciò che è accaduto non dentro Airbnb ma fuori da Airbnb, nei luoghi in cui l’azienda ha maggiormente tratto profitto fino ad ora. Quei luoghi che, da quest’anno, in modo più o meno marcato hanno cominciato ad agire sulla regolamentazione degli affitti brevi tramite piattaforme digitali. Affitti brevi tramite aziende Big Tech che, chiariamolo subito, costituiscono parte del grande problema del diritto abitativo mancato in tanti centri urbani italiani e esteri mete di turismo di massa.

Partiamo dalla situazione italiana: lo scorso giugno la Ministra del Turismo Santanché aveva proposto una bozza di un disegno di legge che punta a regolamentare gli affitti brevi come segue: le notti di pernottamento devono essere minimo due, chi abbia oltre due appartamenti in affitto diventa un imprenditore, i centri storici delle città devono essere salvaguardati e l’abusivismo – ovvero la pratica di Airbnb fuori dalla regolamentazione – deve essere contrastato. Norme e leggi del genere hanno cominciato a saltare fuori anche nel resto del mondo, in Europa in particolar modo, fino ad arrivare alla stretta di New York di un mese fa e alla stretta approvata anche a Firenze.

Ci sono singole realtà europee che, precedentemente, hanno inquadrato la problematica di Airbnb riconoscendo come bisognasse provvedere: già nel 2020 la Corte di Giustizia Ue aveva dichiarato legittima – tramite la sentenza numero Causa C-724/18 del 22 settembre 2020 – la norma che vieta gli affitti brevi. Quest’anno, poi, si è parlato di quella che in Italia è stata ribattezzata come la legge anti Airbnb del Portogallo che, in sostanza, ha messo in campo una serie di norme per regolamentare gli usi e l’impatto che l’esistenza di queste piattaforme ha avuto sul settore del turismo a livello mondiale.

Di recente l’Europa ha, inoltre, deciso di accelerare sulle nuove regole per gli affitti brevi mettendo in cantiere portali unici nazionali. Le procedure devono diventare più trasparenti ed efficienti e, in questo senso, la commissione Mercato interno e tutela dei consumatori del Parlamento Ue ha dato il via libera al pacchetto di regole. L’obiettivo è creare un portale digitale unico che permetta di ricevere dati dalle piattaforme sulle attività degli host su base mensile, garantendo l’interoperabilità dei sistemi e sfruttando i dati ottenuti per compilare statistiche e far rispettare le regole.

La risposta dell’azienda

In che contesto si cala, dunque, il cambio di direzione operato da Airbnb? La visione che ha iniziato a guidare le azioni di Paesi come la Francia, il Portogallo e l’Italia – che poi si sono tramutati nell’intera Ue – e realtà come quella della città di New York mostrano come si vada nella direzione di un necessario contenimento delle possibilità di affittare su Airbnb nel breve termine. Gli scopi sono chiari: portare il numero di alloggi a prezzi accessibili per chi vive, lavora e studia nelle città a un numero nuovamente adeguato, abbattere l’elevatissimo costo degli affitti, proteggere centri urbani e aree rurali – così come il patrimonio storico e artistico delle città -. In parole povere? Puntare a creare un turismo che sia meno massivo e invadente, più rispettoso dei diritti delle persone che abitano le città più visitate nel mondo.

Questo volere di Airbnb di diventare una sorta di agenzia immobiliare 3.0 – collocandosi in quella fetta di mercato per studenti e lavoratori che necessitano di un affitto, tra le categorie più colpite dalla crisi immobiliare –  è sicuramente anche una risposta alle politiche mondiali che cambiano oltre che l’ascolto dell’esigenza post pandemia che – seppure reale – non è stata assecondata prima di un paio di anni dalla ripresa dei viaggi nel mondo.

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