Perché il business model del giornalismo sui social non funziona più

Perché una decina di anni fa sembrava il Santo Graal e oggi un progetto come BuzzFeed News si ritrova a chiudere?

24/04/2023 di Redazione Giornalettismo

Il business model del giornalismo online che si basa principalmente sulle condivisioni social si è rotto. E questo è vero già da un po’ di tempo, come non ha esitato a far notare il report “Journalism is a public good: World trends in freedom of expression and media development; Global report 2021/2022” pubblicato dall’Unesco. Il giornalismo indipendente risulta essere sempre più sotto attacco: tra la violenza contro i giornalisti nelle piazze, quella online e il fatto che il business model che ha permesso la nascita e la crescita di diversi progetti editoriali online nell’ultimo decennio (da quelli nati sui per stare sui social a quelli che, da grandi nomi di ogni singolo Paese, hanno creato piattaforme e pagine in rete) sia venuto a mancare crea una serie di problematiche urgenti nel settore.

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Giornalismo online, la crisi del business model basato sui social e su Google

Il rapporto che abbiamo citato esamina quelle che sono le tendenze globali in ambito libertà di espressione e sviluppo dei media prendendo in esame il quinquennio che va dal 2016 al 2021. Si legge di una «minaccia esistenziale che ora i social media rappresentano per la sopravvivenza stessa dei media professionali» – quella che si è concretizzata, per esempio, nella chiusura del progetto BuzzFeed News -.

«Negli ultimi 5 anni, sia il pubblico delle news che i ricavi pubblicitari sono migrati in gran numero sulle piattaforme Internet – prosegue il rapporto -. Google e Meta/Facebook ora assorbono circa la metà di tutta la spesa pubblicitaria digitale globale, mentre le entrate pubblicitarie globali dei giornali sono diminuite della metà negli ultimi 5 anni».

Numeri che, evidentemente, lasciano ben poco spazio all’immaginazione. Un grande colpo per l’environment giornalistico online è stato anche la pandemia ma non in termini di visualizzazioni – che, come semplice immaginare, hanno toccato picchi altissimi quando il mondo era bloccato in casa cercando di capire che cosa sarebbe successo – ma in termini di entrate pubblicitarie.

Nel rapporto si legge infatti come «la pandemia ha intensificato i trend esistenti al calo delle entrate pubblicitarie, alla perdita di posti di lavoro e alla chiusura delle redazioni». Dal rapporto è emerso anche come «due terzi dei giornalisti si sentono meno sicuri nel proprio lavoro a causa delle pressioni economiche derivanti dalla pandemia». Una delle soluzioni che Unesco esorta i governi mondiali ad adottare, a tal proposito, si articola in diverse aree e la prima è un sostengo alla redditività economica dei mezzi di informazione indipendenti. Lasciano, ovviamente, massima autonomia professionali ai giornalisti. Come? Con vantaggi fiscali equi, dati in trasparenza e che non vadano a interferire con l’autonomia editoriale.

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