Il giorno in cui ho scoperto che Facebook aveva “copiato” la mia app

La storia di Business Competence, che - in appello - ha ottenuto il riconoscimento da parte del giudice di un risarcimento da 3,8 milioni di euro

12/01/2021 di Gianmichele Laino

Viaggio nella contesa Business Competence contro Facebook: tutta la storia dell’applicazione della start up italiana che è stata pedissequamente ripresa dal social network di Mark Zuckerberg. Ora, la Corte d’Appello di Milano ha deciso per un risarcimento da 3,8 milioni di euro alla start up italiana. Il nostro speciale – in tre puntate – raccoglie le voci del CEO della società, Sara Colnago, e dello studio legale che l’ha assistita in una vicenda giudiziaria che va avanti dal 2012. 

Mattina di metà settimana, anno 2012. L’ufficio della start up Business Competence è pronto per iniziare le sue attività giornaliere. Un caffè e via, pronti alla scrivania. Ma quella notte è successo qualcosa di diverso. Facebook aveva appena lanciato una delle tante applicazioni integrate alla sua piattaforma. Un servizio che permetteva di individuare e di recensire attività commerciali, negozi, ristoranti. Quello che, qualche ora prima era avvenuto a decine di migliaia di chilometri di distanza, in un palazzo di Menlo Park era destinato a cambiare per sempre la vita di Sara Colnago e del suo affiatato team. Davanti alla finestra della sede dell’azienda, l’amministratrice della società consulta il computer e – allibita – lancia uno sguardo che è tutto un programma al suo collega: «Ma è la stessa cosa!».

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Cos’era Faround, il prodotto su cui Business Competence aveva puntato

Business Competence, qualche mese prima, aveva lanciato Faround, un’app che gestiva le logiche di geolocalizzazione per applicarle, all’interno di Facebook, alle attività commerciali: si potevano verificare le recensioni lasciate per questi esercizi commerciali e se queste recensioni erano state realizzate da utenti che rientravano all’interno della tua cerchia di amici. In più, l’applicazione prevedeva la logica per cui gli esercizi commerciali potevano applicare coupon e offerte alla propria rete di clienti di riferimento. Per capire l’innovazione di questo strumento, dobbiamo fare un viaggio indietro nel tempo e tornare a quello che era Facebook nel 2012 e alle applicazioni che erano in voga in quel momento. All’interno di Facebook non erano per nulla sviluppate le pagine business. Era invece molto in auge Foursquare che ti consentiva di geolocalizzarti e di vedere altre persone che si erano geolocalizzate negli esercizi commerciali che frequentavi anche tu. In parallelo era in auge anche un meccanismo non troppo verificato di recensioni su TripAdvisor. Per questo, piazzarsi su questa strada poteva rappresentare una vera e propria occasione di business.

«Noi facciamo questo di mestiere – spiega Sara Colnago a Giornalettismo -: se nasce un’idea di business che può essere messa a terra, avendo all’interno le competenze di sviluppo, allora investiamo. Faround era una di queste: era nata come Facebook app, come applicazione che si integra sulla piattaforma di Facebook. Per essere accolti nel loro ecosistema, infatti, ci siamo registrati, come ogni società con questo obiettivo, all’interno della piattaforma: questo passaggio consiste nello spiegare e dare evidenza a Facebook quali siano le specificità dell’app da inserire nella piattaforma. Questo passaggio, ovviamente, serve a Facebook per evitare che al suo interno vi siano attività fraudolente o che ledano eventuali normative. Fatto questo passaggio, siamo stati autorizzati e siamo stati integrati all’interno della piattaforma». Un passaggio che, probabilmente, ha dato modo al social network di Zuckerberg di familiarizzare con l’idea dell’azienda di Cernusco sul Naviglio. Qualche mese dopo il lancio di Faround, su Facebook era comparsa Nearby. Del tutto simile all’app progettata dalla start-up italiana. Praticamente sovrapponibile. E qui torniamo a quella mattina di metà settimana, davanti alla finestra dell’ufficio di Business Competence.  ù

E poi Facebook ha fatto apparire dal nulla Nearby

«Nearby di Facebook non era una applicazione aggiuntiva come la nostra – sottolinea Sara Colnago -: gli utenti dovevano scaricare la nostra applicazione, c’era bisogno di un ulteriore passaggio da parte dell’utente stesso. L’esempio tipico di questa tipologia è un giochino come Candy Crush. Nearby, invece, era una funzione integrata, un po’ come Messenger: non hai bisogno di scaricarlo, lo trovi già all’interno di Facebook. Facebook era la vetrina sulla quale noi abbiamo investito il nostro strumento di marketing e invece si è trasformato nel luogo dove potevi fare esattamente la stessa cosa a cui serviva Faround, senza bisogno di scaricare Faround».

Insomma, Facebook ha ripreso l’idea, l’ha integrata nella sua piattaforma, l’ha resa praticamente automatica – in quanto ad accessibilità – per i propri utenti. Otto anni dopo, un giudice riconoscerà questa sovrapponibilità tra i due prodotti. Ma in quella mattina di metà settimana, Business Competence non lo sapeva ancora. Pensava di poter contare sul social network come si fa con un trampolino di lancio, pensava di usare Facebook come strumento di marketing. E invece, dalla Silicon Valley era arrivato un boomerang impossibile da schivare.

«Non abbiamo mai visto Facebook come un competitor – ha spiegato Sara Colnago -, perché non può esserci competizione in questo campo. Per noi Facebook era una piattaforma con cui lavorare e, appunto, una vetrina per operazioni di marketing e di visibilità. Abbiamo subito capito che, dopo il lancio della “sua” Nearby, erano precluse le possibilità di ulteriore business».

Come risolvere allora la controversia? Provando, magari, a chiamare Facebook, a chiedergli spiegazione per l’accaduto. Nulla di fatto: «Abbiamo cercato di capire se ci potevano essere possibilità di contatto diretto con Facebook, ma non c’è stata data alcuna possibilità da questo punto di vista. Da qui la decisione di tutelarci in un modo non semplicemente legato al business, ma che comprendesse anche iniziative legali».

In quella mattina di metà settimana iniziò un lunghissimo percorso legale. Una storia che, con vicende alterne, ha portato alla sentenza della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto un risarcimento danni da 3,8 milioni di euro. Il team legale che ha assistito Business Competence ha spiegato che confrontarsi con i giganti del tech mondiale non è stata di certo una passeggiata di salute. Ma questa è un’altra storia, che leggerete nel prossimo capitolo. 

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