I numeri milionari di Facebook sulle bufale sul coronavirus rimosse negli ultimi 3 mesi

Sono 20 milioni i post - tra Facebook e Instagram - che contenevano gravi esempi di disinformazione sulla pandemia

19/08/2021 di Redazione

Un numero spropositato: 20 milioni di post tra Instagram e Facebook. È questo il dato relativo alle rimozioni di contenuti fake sul coronavirus negli ultimi tre mesi, stando a quanto riportato dal Report sull’Applicazione degli Standard della comunità, che Facebook ha divulgato in queste ore e che si riferisce sostanzialmente al secondo trimestre del 2021, quello che va da aprile a giugno. In tre mesi, dunque, 20 milioni di post rimossi. Ma perché, allora, abbiamo la sensazione di vivere costantemente in mezzo alla disinformazione quando navighiamo sui social network?

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Bufale rimosse da Facebook: siamo a 20 milioni in tre mesi

Nei giorni scorsi, Facebook aveva confermato di aver rimosso una serie di account fake (che avrebbero collegamenti con il territorio russo) e che miravano a coinvolgere degli influencer per screditare il vaccino Pfizer. Nel rapporto, si analizza il fenomeno da un punto di vista più generale e si afferma che Facebook abbia rimosso 3mila account che sistematicamente diffondevano fake news sul coronavirus e che, per questo, violavano gli standard previsti dalla community.

Resta però il quesito: in che modo Facebook decide cosa e quando bloccare, cosa e quando rimuovere? Basandosi sull’incrocio tra le tecniche di intelligenza artificiale e il fattore umano, il team di Facebook è arrivato ai risultati sopra elencati. Il problema è che, in mezzo, c’è tutto un mondo grigio, in cui la disinformazione non è palese (come, evidentemente, nei casi rimossi da Facebook), ma si annida nei post che l’utente medio realizza. Basta avere un po’ più di influenza sulla propria community di riferimento (senza per questo essere un infuencer vero e proprio) per ottenere un effetto suggestionante nei confronti di piccole cerchie, sempre ristrette, ma che comunque a loro volta alimenteranno dubbi e incertezze.

Che dire, poi, dei commenti ai portali e ai siti di informazione: sfruttando, magari, il bacino di utenza di questi ultimi, sono diversi gli utenti che rispondono condividendo informazioni parziali o accomodate ad arte. È anche questo un veicolo importante di disinformazione sui social network.

Per tutti questi casi, Facebook ha previsto l’aggiunta di etichette con rimandi a informazioni verificate dal social network sul coronavirus. Ma l’utilizzo di queste etichette, ormai, è praticamente inflazionato, dal momento che viene applicato a qualsiasi contenuto parli di coronavirus (o venga riconosciuto dall’intelligenza artificiale come tale), anche quelli proposti da fonti autorevoli. Il risultato, dunque, è che l’utente si sia abituato alla presenza di queste etichette, bypassando completamente il loro contenuto. La strada per combattere la disinformazione sui social network, purtroppo, è ancora lunghissima.

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