Spariti i brand dalle stories di Chiara Ferragni: una nuova strategia definita dall’unità di crisi?

Tra i vari professionisti che stanno supportando Chiara Ferragni dopo il pandoro-gate, c'è anche l'agenzia Community, che si occupa di crisis management

17/01/2024 di Gianmichele Laino

Nel grande calderone che, in questo periodo, sta guidando l’attività di influencer marketing in Italia, occorre non solo analizzare le linee guida dell’Agcom che, ormai, sono state pubblicate, ma bisogna capire come stiano reggendo gli influencer. E come la loro attività sia cambiata dopo il caso del pandoro Balocco e delle attività di promozione legate a Chiara Ferragni. Abbiamo più volte ribadito che le linee guida dell’Agcom non sono direttamente collegate al pandoro gate, nonostante la coincidenza temporale tra il caso di cronaca e la loro pubblicazione. Tuttavia, il caso di Chiara Ferragni è quasi un caso di scuola per farci comprendere come, d’ora in avanti, gli influencer con più di un milione di followers dovranno affrontare i contenuti sponsorizzati.

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Brand e Chiara Ferragni, la strategia della celebrity italiana

Nell’occhio del ciclone per una presunta pratica commerciale scorretta su cui sono ben due procure a indagare, Chiara Ferragni – vista la grandissima esposizione che la sua figura ha di fronte all’opinione pubblica – è dovuta correre ai ripari. Lo ha fatto dapprima evitando di pubblicare qualsiasi tipo di contenuto sui social network (anche in un periodo “forte” per tutti gli influencer, come quello delle festività natalizie), poi recuperando – a poco a poco – il suo attivismo sul suo punto forte, la pagina Instagram che l’ha resa famosa in tutto il mondo.

Non solo: secondo quanto riportato da alcune fonti, Chiara Ferragni si sarebbe affidata a una delle più importanti agenzie di crisis management in Italia, ovvero la Community di Auro Palomba. Si tratta di uno studio che mette insieme le professionalità che hanno gestito, in passato, dei casi molto delicati in cui brand di fama internazionale, in seguito a problemi di natura legale, hanno dovuto recuperare la loro credibilità. Tra i clienti di Community, ci sono centinaia di brand famosi, per cui viene gestita la comunicazione di ambito corporate, la comunicazione finanziaria, la comunicazione di crisi, la comunicazione politica, sportiva o di prodotto. Alla voce “comunicazione di crisi”, Community ha aggiunto una serie di brand partner: da Amadori, passando per Monclair, fino ad arrivare a Cirio, Juventus, Parmalat, Ilva e Leroy Merlin.

Chiara Ferragni si sarebbe rivolta a loro e, con il supporto del team legale che sta gestendo l’affaire Balocco, ha anche individuato quella che sembra una vera e propria strategia di pubblicazione. Innanzitutto, profilo bassissimo, ma questo era prevedibile. Dopo il caso Balocco, lo strumento di pubblicazione preferito su Instagram sono le stories: durata 24 ore, possibilità di alternare immagini statiche a video, poche, pochissime parole. Ma soprattutto, zero brand.

Una delle caratteristiche dell’influencer marketing di Chiara Ferragni era proprio quella di essere molto didascalica con i prodotti che sponsorizzava. Nelle stories degli ultimi giorni, invece, compaiono outfit “etichetta zero” (anche se alcuni capi indossati sono talmente iconici da essere perfettamente riconoscibili e associabili al brand di riferimento), nessun assist ad aziende grandi o piccole, nessun invito a cliccare su link e nessun tag. Poi, ovviamente, ci sono le scene familiari: immagini molto innocue, in cui la famiglia compare in foto o in video non per ragioni pubblicitarie (più o meno esplicite), ma semplicemente per comunicare un senso di solidarietà, di vicinanza, di supporto. Unica eccezione a tutto questo, la promozione dei prodotti griffati Chiara Ferragni, al centro – anch’essi – di controversie nei giorni scorsi, a causa di un presunto calo delle vendite nei pop-up di diverse città italiane.

Le scelte, dunque, sembrano piuttosto ragionate e sembrano avere uno scopo: abbassare l’attenzione sulle finalità promozionali dell’attività di Chiara Ferragni (con l’eccezione del brand di cui è proprietaria, di cui è direttamente responsabile), mostrare immagini il più possibile “normali”, prepararsi a una fase – successiva – di nuova “aggressione” del mercato. In linea, compatibilmente, con le direttive dell’Agcom.

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