I contenuti pro-Palestina vengono censurati sui social media?

I creators palestinesi hanno dichiarato che i loro post sono stati banditi e cancellati dai social

18/05/2022 di Martina Maria Mancassola

Il mese scorso, Bella Hadid ha contestato ad Instagram di aver bannato i suoi contenuti pro-Palestina: «Il mio Instagram mi ha impedito di pubblicare la mia storia, praticamente solo quando è basata sulla Palestina, presumo», ha dichiarato la modella nelle sue storie, aggiungendo che «Quando scrivo sulla Palestina, vengo immediatamente bandito dall’ombra e quasi un milione meno di voi vedono le mie storie e i miei post». Bella Hadid non è la prima a rivendicare la censura sui social quando si pubblicano storie e post in merito alla crisi israelo-palestinese. L’anno scorso, in seguito al bombardamento israeliano della Striscia di Gaza, un certo numero di attivisti pro-palestinesi ha fatto sapere che Facebook e Instagram avevano vietato i loro contenuti. Meta, cui sono riconducibili entrambi i social, ha dichiarato che ciò è stato dovuto a un «problema tecnico globale» in una dichiarazione ufficiale. Tuttavia, non solo questi social avrebbero bannato i creators, i quali hanno sottolineato che il problema persiste ancora: il ban dei contenuti social pro-Palestina non è cessato.

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Ban dei contenuti social pro-Palestina: la denuncia dei creators

Adnan Barq, per esempio, YouTuber palestinese a Gerusalemme, inizialmente non intendeva creare contenuti politici. Tuttavia, condividere la sua vita di ogni giorno vivendo nella Palestina occupata significava mostrare tutte le difficoltà incontrate mentre attraversava i checkpoint per raggiungere l’Università di Bethlehem in Cisgiordania: «Mi ha fatto capire che normalizziamo queste cose pazze», ha dichiarato a Dazed, aggiungendo di aver iniziato a scherzare con alcune battute e ad usare «umorismo nero» per parlare dei checkpoint e del muro israeliano della Cisgiordania – in arabo conosciuto come il «muro dell’apartheid» – che il governo israeliano sostiene sia fondamentale per arrestare gli attacchi terroristici. Adnan racconta che, quando le cose si sono fatte «serie e mortali» l’anno scorso, ha sentito la responsabilità di raccontare ciò che stava accadendo e che vedeva ogni giorno per mostrare ai suoi seguaci gli aspetti drammatici della sua realtà, ma ben presto è stato censurato: «I miei post e le mie storie su Instagram sono stati eliminati senza motivo senza alcun avviso ufficiale», racconta, aggiungendo che alcuni dei suoi post sono stati rimossi per via della violazione delle linee guida della community, anche se non gli è stato comunicato il motivo, e che i suoi follower sono stati rimosso senza consenso.

 

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Un post condiviso da Adnan ⚡ Zeus (@adnan_barq)


Come Bella Hadid, Adnan ha raccontato di aver anche sperimentato la cd ombra su Instagram: «Ho quasi 100.000 followers, ma le mie visualizzazioni della storia sono appena 10.000», aggiungendo che «Instagram continua a contrassegnare i miei contenuti come ‘sensibili’ senza motivo e mi è stato detto che le persone non sono in grado di condividere i miei post». Inoltre, lo stesso ha dichiarato che anche YouTube lo ha penalizzato, demonetizzando i suoi video, il che vuol dire che non può mostrare pubblicità sui suoi video rendendo tutti i suoi contenuti «non idonei per fare soldi». Proprio questa settimana, il marchio di streetwear pro-palestinese HYPEPEACE ha fatto sapere a Dazed che il suo account Instagram è stato disattivato senza preavviso: «Siamo stati disconnessi dal nostro account e Instagram ci ha chiesto di aggiungere il nostro numero di telefono per motivi di sicurezza», aggiungendo che «Dopo aver rispettato, l’app ha dichiarato che avrebbe esaminato le nostre informazioni entro 24 ore. Sfortunatamente, da allora, il nostro account è stato inaccessibile, affermando che “il tuo account è stato disabilitato per non aver seguito i nostri termini». Il portavoce del marchio ha aggiunto di non aver violato alcuna delle regole o dei termini di Instagram e di non aver ricevuto motivazioni per spiegare quali termini fossero violati. Il portavoce ritiene che questo sia dovuto al loro esplicito sostegno alla Palestina. Prima, HYPEPEACE aveva, comunque, notato che le storie sugli attacchi delle forze israeliane ai fedeli di Al-Aqsa durante il Ramadan «avrebbero raggiunto a malapena 100 visualizzazioni, mentre le storie su argomenti non correlati durante lo stesso giorno sarebbero state viste da 1.000 o più persone».

Non è solo Meta perché, il mese scorso, Marc Owens, assistente professore di Studi sul Medio Oriente all’Università Hamad Bin Khalifa e autore dell’imminente Autoritarismo digitale in Medio Oriente, ha rilevato una strana tendenza su Twitter: un grande numero di gruppi e individui pro-Palestina è stato colpito da un afflusso di followers da account tutti attivati quel giorno: «La maggior parte dei commentatori, attivisti e giornalisti in Medio Oriente funzionano generalmente sotto una nuvola di sorveglianza e tali improvvisi flussi di bot causano preoccupazione e ansia», ha dichiarato Owens a Dazed, aggiungendo che «Di conseguenza, alcuni limitano i loro account mentre aspettano che il problema si calmi, rendendoli meno visibili». Secondo Nadim Nashif, direttore esecutivo e co-fondatore di 7amleh: The Arab Center for the Advancement of Social Media, questo è più di un semplice bug nel sistema: «È sistematico», afferma a Dazed.

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