Non abbiamo leggi per regolamentare assunzione e licenziamento basate su un algoritmo
Un algoritmo che licenzia o assume non è gestibile adesso perché non abbiamo leggi sufficienti per tutelare i diritti dei lavoratori
29/03/2021 di Ilaria Roncone
L’era digitale impone la digitalizzazione di ogni ambito della vita, anche del lavoro. Da decenni assistiamo alla sempre maggiore presenza delle macchine – ultimamente soprattutto digitali – nell’ambito del lavoro e adesso gli algoritmi stanno penetrando anche nei meccanismi di assunzione e licenziamento delle persone. Se per quanto riguarda la parte di assunzione un senso ci può essere, diversa questione è quella dei licenziamenti. Mentre nel mondo i lavoratori dei maggiori colossi dell’era digitale (si vedano Amazon e Just Eat) stanno scioperando e provando a cambiare i meccanismi interni, il Trades Union Congress (TUC) – federazione sindacale nazionale del Regno Unito – sta evidenziando quanto sia urgente elaborare regole migliori per controllare l’AI e un algoritmo che licenzia e assume, prendendo decisioni ad altissimo impatto sulla vita delle persone.
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Algoritmo che licenzia: perché non ha senso
Gli algoritmi prendono sempre più potere ma lo stesso non si può dire delle leggi che proteggono i lavoratori. Come evidenziato dal TUC, affidare all’AI decisioni relative il licenziamento di qualcuno potrebbe causare ingiustizie dalle quali in nessun modo i lavoratori potrebbero proteggersi visti gli ordinamenti giudiziari attuali. Se l’intelligenza artificiale a occuparsi del licenziamento di qualcuno, quindi, trattamento ingiusto e discriminazione si possono trovare dietro l’angolo per le «enormi lacune» sull’impiego dell’AI sul lavoro. Questo vale per il Regno Unito, che ha sollevato la questione, ma anche per il resto del mondo.
Il manifesto contro il licenziamento ingiusto da algoritmo
Il TUC ha pubblicato un vero e proprio manifesto insieme a un rapporto stilato con degli avvocati per i diritti del lavoro e la conclusione è chiara: la legislazione è troppo lenta e non è in grado di monitorare e controllare gli effetti della rapidissima espansione dell’intelligenza artificiale nel mondo lavorativo. Quando si tratta di licenziamento la prima raccomandazione in merito è che ogni lavoratore deve essere a conoscenza delle tecnologie utilizzate per monitorare il suo operato o per assumerlo; i dipendenti devono potere anche contestare qualunque decisione presa da un algoritmo quando ritenuta ingiusta o discriminatoria. Tim Sharp, responsabile per i diritti del lavoro del TUC, intervistato da ZDNet ha chiarito che «le situazione potenzialmente ingiuste sono molte, la diffusione della tecnologia deve venire con il giusto insieme di regole in atto per assicurarsi che sia vantaggioso lavorare e per ridurre al minimo il rischio di trattamento ingiusto».
Ci sono situazioni che se gestite da algoritmi risultano essere «ad alto rischio»
Non sono solo i licenziamenti il problema. Secondo il TUC anche la gestione delle assenze può essere fallata, considerato che ci sono stati casi di sistemi automatizzati che hanno erroneamente attribuito assenze a dipendenti che invece erano sul posto di lavoro. Anche nell’ambito delle assunzioni il rischio c’è: i meccanismi di selezione dei CV di Amazon per informazioni chiave si sono rivelati discriminatori nei confronti delle donne. Proprio a partire da situazioni reali come questa il TUC ha concluso che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in decisioni ad alto impatto come assunzione e licenziamento deve essere controllato.
Indubbiamente ci sono casi in cui l’AI fa un lavoro eccellente – come quando suggerisce il percorso più veloce tra due fermate all’autista che sta effettuando una consegna – ma occorre prestare parecchia attenzione all’automazione di procedimenti del lavoro come assunzioni e licenziamenti. Anche la docente dell’NYU e direttrice fondatrice del Center for Responsible AI, Julia Stoyanovich, ha affermato che «non dovremmo investire nello sviluppo di questi strumenti in questo momento. Dovremmo investire nel modo in cui supervisioniamo queste tecnologie», anche e soprattutto considerata la rapida digitalizzazione del lavoro dovuta alla pandemia da Covid-19.