I bot sono davvero così sviluppati?

A che punto siamo con l'evoluzione dei bot? Davvero è possibile scambiarli per esseri umani chattandoci (uno su tutti, Chat GPT). Ne abbiamo parlato con Alex Orlowski

21/03/2023 di Ilaria Roncone

A che punto siamo con i bot? Dopo aver approfondito le varie tipologie di bot sviluppati nel tempo, abbiamo fatto una chiacchierata con Alex Orlowski – esperto nello scovare bot e botnet creati per scopo propagandistico sui social -: «Risulta vero che i bot sono diventati sempre più di qualità però, attenzione, le botnet sono fatte da una grossa quantità di account controllati da una sola persona o da un solo team», ha messo in guardia l’esperto.

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Come si sono evoluti i bot utilizzati sui social?

«A parte i bot, che sono totalmente automatizzati – prosegue Orlowski ai microfoni di Giornalettismo – da anni c’è la tendenza ad utilizzare i sock puppets: una persona apre una decina di account sul mio smartphone – Twitter ti permette di tenerne cinque o dieci – e può usare vari cellulari o il pc, dove possono tenerne centinaia. Tutti questi account vengono utilizzati come se fossero dei bot, quindi il sistema di automatismo sono io stesso passando da un account all’altro. In italiano li chiamiamo account marionetta, perché con due mani si riescono a gestire più account. Ci sono tanti software che permettono di fare questa cosa e, di solito, si vedeva il software che stavi usando perché su Twitter compariva la scritta “tweet pubblicato con iPhone o con Android”. Ora questo dato, che era molto importante, Musk lo ha tolto».

Dove è ancora possibile reperire questa informazione? «Esiste ancora nelle API (Application Programming Interface), nei dati puri e crudi che vengono dal social: tramite un programma si chiede a Twitter, per esempio, di avere gli ultimi cento tweet che parlano della nazionale di calcio italiana in lingua italiana e che abbiano almeno questo hashtag. I dati che si ottengono sono come su un foglio Excel, delle colonne, e vengono interpretati graficamente o con delle formule da degli analisti».

I bot non sono così facili da gestire

Più raffinati, certo, ma per essere credibili e simili agli umani deve esserci un grande lavoro dietro: «Tu mi dici: i nuovi bot sono più raffinati. Sì e no, perché quando tu devi fare una grossa campagna con migliaia di account, non è così facile gestirli su Twitter. Come non è facile gestirli su Facebook. Quindi, quasi sempre, sono piccoli gruppi organizzati che hanno cento, duecento, massimo mille account. Gestirli tutti con l’intelligenza artificiale è complesso perché se vuoi gestirli con ChatGPT, questa si fa pagare. I chatbot esistono da tanto ma, anche facendo prove e ricevendo link in conversazioni che sembrano reali in un primo momento, arriva una seconda o terza risposta un po’ strana che dimostra come stiano andando in palla perché sono programmati male».

«Diciamo che una grande organizzazione o azioni di cyberpropaganda sponsorizzata da uno Stato riescono a sfruttare l’AI applicandoli in maniera massiva su migliaia di account poiché servono moltissimi server, serve far sembrare che l’account sia umano e non è così facile. Anche Twitter e i social in generale hanno strumenti per rendersi conto se chi sta navigando è umano o un bot basandosi su come si muove il mouse o il dito su uno schermo».

Il punto è, quindi, che gestire bot ben fatti richiede parecchie energie e parecchie risorse: «Se me lo chiedessero, cento li posso fare. Per mille già mi servirebbe investire parecchio e dipende anche da quanto interagiscono. Gestire mille account diventa già un bello sbattimento», ha concluso l’esperto.

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