Ci dobbiamo aspettare una Rai a tecnologia 5G broadcast? Sì, ma come e quando?

Il riferimento a questa tecnologia di diffusione del contenuto è stato inserito nel contratto di servizio 2023-2028. Ma - come al solito - per target e tempi dobbiamo far riferimento a notizie "esterne"

08/11/2023 di Gianmichele Laino

In assenza di veri e propri criteri e di veri e propri dati numerici – che possono essere considerati gli unici elementi realmente oggettivi per determinare obiettivi e traguardi di un progetto – non ci resta che aggrapparci ai termini tecnici più specifici che sono stati utilizzati all’interno del contratto di servizio che dovrebbe disciplinare la Rai (e i suoi target) dal 2023 al 2028. Quando la Rai parla di nuove tecnologie che vengono adottate per uniformare il servizio pubblico alle principali innovazioni, emerge con chiarezza che – per facilitare la distribuzione dei servizi televisivi nei confronti dell’utenza mobile – il servizio pubblico sperimenterà lo standard 5G broadcast. Non si specifica con quali obiettivi e con quali scopi precisi, ma – quantomeno – possiamo indicare cosa questa cosa significhi.

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Rai e standard 5G broadcast, quale sarà il futuro del servizio pubblico per l’utenza mobile

Lo standard 5G broadcast verrà utilizzato soprattutto – in base a quanto ci spiega il contratto di servizio – nelle aree metropolitane ad alto traffico IP. A cosa serve questa tecnologia relativamente nuova? Serve per utilizzare le antenne del 5G per veicolare un gran numero di dati e distribuirli sui dispositivi mobili, senza la necessità che questi ultimi abbiano per forza una scheda SIM. Tradotto in parole molto semplici, potrebbe servire a diffondere il segnale televisivo anche attraverso le smart tv, attraverso i pc, attraverso i tablet e – ovviamente – anche attraverso gli smartphone (che, invece, di SIM sono dotati).

Una modalità del genere di distribuzione del segnale può snellire la rete rispetto alle tecnologie utilizzate in precedenza. E ciò avvantaggerebbe l’emittente in presenza di grandi volumi di traffico. Avete presente quello che è successo negli ultimi due anni in concomitanza con alcuni particolari eventi sportivi trasmessi da Dazn? Lo sport in streaming può essere un valido caso di studio per una tecnologia del genere: in generale, nel processo di trasmissione del segnale, ci sono diversi punti critici all’interno dei quali il segnale può trovare degli ostacoli (dalla cdn, fino ad arrivare alla connessione internet domestica). Sicuramente, la tecnologia 5G broadcast riduce le possibilità che questi ostacoli possano compromettere la trasmissione del segnale. Per poter utilizzare un termine di paragone, nell’ultimo confronto che Dazn aveva avuto con il precedente governo (in presenza dell’ultimo esteso problema che l’OTT ha avuto in concomitanza con la trasmissione di una giornata dello scorso campionato di Serie A), l’azienda aveva promesso di migliorare la tecnologia Multicast (precedente a quella 5G broadcast) per ridurre fino al 50% i problemi di buffering.

Dunque, la Rai si propone di utilizzare una tecnologia molto più avanzata di quella impiegata da Dazn. Tra l’altro, la sperimentazione di quest’ultima non è nuova: in concomitanza con l’Eurovision Song Contest che si è svolto a Torino nel 2022, ad esempio, la Rai aveva già allestito una postazione dimostrativa per presentare questa tecnologia, sviluppata insieme a EBU, Rohde & Schwarz e Qualcomm. 

Pur non essendo presente alcun cronoprogramma all’interno del contratto di servizio (e con la sola, abbastanza parziale, indicazione rispetto alla copertura iniziale nelle “aree metropolitane”), la Rai dovrebbe seguire la Roadmap 5G Broadcast che è stata firmata a luglio 2023 (insieme ad altri grandi gruppi media europei) e che ha come obiettivo l’implementazione di questa tecnologia, in maniera funzionante, per gli eventi legati all’Europeo di calcio del 2024 e alle Olimpiadi di Parigi 2024. Ma, allora, cosa costava indicarlo?

In più, il riferimento al fatto che – per lo sviluppo e la sperimentazione di questa nuova tecnologia – il governo dovrà fornire delle frequenze temporanee (e sappiamo bene la querelle che, in questo momento, si sta sviluppando intorno alla distribuzione delle frequenze 5G), non offre una indicazione particolarmente ottimistica: il piano Italia 5G – anche questo, guarda caso – è costellato dalle buone intenzioni del potenziamento capillare della rete. Ma resta nel vago quando spiega che bisogna «assicurare copertura 5G mobile in tutte le zone abitate non coperte da piani privati, migliorare la copertura mobile esistente attraverso il collegamento in fibra ottica delle torri radio esistenti, nonché favorire la diffusione di reti 5G stand alone (Piano “Italia 5G”)». Ancora una volta, senza spiegare come farlo.

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