Terapia intensive e ricoveri: ecco perché in Italia è già allarme rosso

I dati sulla saturazione delle terapie intensive e dei ricoveri ospedalieri e quelli sulla mancata implementazione degli ospedali che mettono in crisi il Sistema Sanitario Nazionale nella seconda ondata di Covid-19

09/11/2020 di Daniele Tempera

Una corsa contro il tempo per evitare il collasso del sistema sanitario italiano nazionale. Già, perché la seconda ondata di Covid-19 quanto, e forse più della prima, rappresenta uno stress test che sta evidenziando e portando alla luce le diverse criticità della nostra Sanità e sta costringendo Governo e autorità a scelte difficili e spesso impopolari. A fare il punto settimanale c’è il rapporto Altems della Cattolica che tiene insieme tutti i dati con le quali le singole regioni affrontano e hanno risposto alla pandemia; uno strumento importante per orientarsi su cosa vuol dire oggi per medici e operatori sanitari affrontare il nuovo coronavirus e capire perché l’Ordine dei Medici ha chiesto a gran voce il lockdown su tutti il territorio nazionale. 

Covid-19: i ricoveri per Regione

Il primo parametro al quale guardare è sicuramente quello dei ricoveri ospedalieri, lievitati in tutta Italia con la seconda ondata di Covid-19, ma che in alcune Regioni sono già oltre la soglia critica.

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Il livello di allerta massimo è fissato a 54,78 ricoveri ogni 100.000 abitanti. Questo limite è stato già oltrepassato da Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria . Al picco dell’epidemia da Covid-19 la Lombardia faceva segnare il record di 131,91 ricoveri ogni 100.000 abitanti: un record attualmente già battuto dalla Valle D’Aosta, mentre la Lombardia con 51,61 ricoveri ogni 100.000 abitanti si riavvicina pericolosamente alla soglia critica. E ospedali strapieni vuol dire mediamente meni spazio per malati affetti da altre patologie con conseguenze che potrebbero travalicare l’entità della stessa pandemia.

Dove il Covid è più letale?

Prima di addentrarci di quanto possa essere pericoloso il Covid-19 nelle diverse regioni italiane, è bene tenere a mente due principi fondamentali: mortalità e letalità, anche se usati spesso come sinonimi, non sono la stessa cosa. La mortalità indica il rapporto tra il numero di decessi per una data patologia (o un dato avvenimento funesto, come gli incidenti ad esempio) e un numero dato di popolazione. La letalità è il rapporto tra i malati e i decessi. Non è un caso che questi due parametri divergano nelle due statistiche considerate.

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Se si considera la mortalità balza subito all’occhio il dato inquietante della Valle D’Aosta, regione caratterizzata da una grande quantità di contagi per abitante e un altissimo tasso di ricoveri ospedalieri, tali da mettere a repentaglio il corretto funzionamento del sistema sanitario. Al secondo posto troviamo la Liguria e al terzo la Lombardia, regioni accomunate da un’alta diffusione del Covid-19 che, nel caso della Lombardia ad esempio, ha fatto scattare l’obbligo di “zona rossa”.

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Il discorso cambia però sostanzialmente se analizziamo i dati relativi alla letalità. Se in prima posizione troviamo ancora la Valle D’Aosta, al secondo posto vediamo affacciarsi una terra come il Molise, caratterizzata da una mole non critica di contagi, al quarto posto la Sicilia. Il sospetto è che il Covid-19 agisca come una cartina di tornasole della fragilità dei nostri sistemi sanitari locali.

Il nodo delle terapie intensive e le colpe della politica

Un sospetto che diventa purtroppo una certezza se si guarda alla situazione delle terapie intensive. Già nel corso della prima ondata abbiamo imparato a familiarizzare con la triste eventualità che un decorso infausto della malattia espone molti pazienti al rischio di essere ricoverati in terapia intensiva. Cosa succede se il numero di posti in questi reparti non dovessero bastare per tutti? È un’eventualità paventata da clinici ed esperti che, guardando la situazione delle nostre terapie intensive, fa già paura.

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Si consideri che la soglia di allarme fissata dal ministero per l’occupazione delle terapie intensive è fissata al 30% dei posti totali.  Otto regioni hanno già sorpassato questa soglia critica, con la Valle D’Aosta che, al momento ha occupati oltre il 60% dei posti di terapia intensiva.  Ben quattro regioni, tra le quali la Lombardia, avevano superato lo scorso 5 novembre (data dell’ultima rilevazione) la soglia raggiunta durante i mesi più duri della prima ondata (43%) di saturazione.

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Ma quante sono le terapie intensive per Regione? Prima dell’ondata della pandemia la distribuzione era questa che potete osservare qui sotto.

Dopo lo shock della scorsa primavera si è provato ad ovviare con posti aggiuntivi, distribuiti per regione, ma non tutte le amministrazioni sono state particolarmente virtuose.  Come raccontato dal Sole 24 Ore  quasi nessuna regione, ad eccezione del Friuli Venezia Giulia, è riuscita a portare a termine l’obiettivo di attivare e implementare posti aggiuntivi di terapia intensiva. Secondo il decreto Rilancio prevedeva infatti che si arrivasse ad avere 14 posti letto ogni 100mila abitanti: la realtà è ad oggi ben diversa.

E come dimostra la mappa del Sole24 Ore sopra, la situazione più critica si ha in Calabria, Umbria e Piemonte. Due di queste regioni sono oggi classificate in zona rossa (nel caso della Calabria senza un alto numero di contagi). L’Umbria è alle prese con un rialzo imponente dei contagi e con un’occupazione della terapia intensiva oltre la soglia critica.

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