Quanti sono i giovani italiani che vivono come hikikomori?

Un recente studio ha permesso di quantificare gli hikikomori, ottenendo una serie di dati che ci aiutano a inquadrare il fenomeno nel nostro Paese

10/11/2023 di Ilaria Roncone

A partire dall’annuncio della proposta di legge “Disposizioni per la diagnosi e la cura della sindrome di Hikikomori e per l’assistenza delle persone che ne sono affette” con prima firmataria Rosaria Tassinari di Forza Italia, abbiamo deciso di provare a quantificare il fenomeno nel nostro Paese. In tal senso, di recente è stato pubblicato il primo studio nazionale che punta a fornire una stima quantitativa dell’isolamento volontario nella popolazione adolescente in Italia. Gli hihkikomori in Italia – traducibili come “ritirati sociali” nella nostra lingua – sono quegli individui giovani o giovanissimi che tendono a ritirarsi dalla vita sociale: smettono di uscire di casa, di frequentare la scuola e di vedere gli amici e optano per rinchiudersi nelle quattro mura della propria stanza limitando i propri rapporti con l’esterno tramite mezzi forniti da internet.

Lo studio promosso dal Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada ha permesso di avere dei numeri e dei dati analitici sui quali provare a ragionare e che ci permettono di fare stime attendibili. Nella ricerca sono stati coinvolti 12 mila studenti tra i 15 e i 19 anni. Ognuno di loro è stato intervistato con un set di domande volto a intercettare non solo i loro comportamenti ma anche le cause percepite, ottenendo così un’autovalutazione dei partecipanti stessi.

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Hikikomori in Italia, il 2,1% attribuisce a se stesso questa definizione

A dare una lettura dei dati più interessanti è stata Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr-Ifc. Innanzitutto, quanti Hikikomori ci sono in Italia? «Il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori: proiettando il dato (numero aggiornato al 2018 la cui fonte è il ministero dell’Istruzione n.d.R.) sulla popolazione studentesca 15-19enne a livello nazionale, si può quindi stimare che circa 54.000 studenti italiani di scuola superiore si identifichino in una situazione di ritiro sociale».

Cosa significa, all’atto pratico, disporre del proprio tempo come hikikomori? Degli intervistati, il 18,7% ha affermato – al di là dei periodi del lockdown – di non essere uscito per un tempo significativo. Di questi, l’8,2% non è uscito per un lasso di tempo che va da 1 a 6 mesi o anche oltre (le situazioni più gravi sono quelle che vedono un ragazzino non uscire di casa per oltre sei mesi e quelle che lo vedono chiuso in casa dai 3 ai 6 mesi). In tal senso, «le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo», ha commentato Molinaro.

L’incubazione di questa sindrome viene fatta risalire alle scuole medie e l’età maggiormente a rischio, quella in cui si concretizza la scelta di vivere come “ritirati sociali”, è quella che va dai 15 ai 17 anni. Leggendo i dati, emerge come le ragazze si percepiscano Hikikomori più facilmente dei ragazzi, mentre si trova tra questi ultimi la maggioranza di coloro che vivono così. Anche rispetto a ciò che si fa nei lunghissimi periodi trascorsi tra le quattro mura c’è differenza: le ragazze tendono a impiegare il tempo dormendo, leggendo e vedendo la tv; i ragazzi passano le giornate a giocare online.

Quali sono le cause dell’isolamento? Non sono gli atti di bullismo la prima tra le cause ma tanti hanno parlato di inadeguatezza rispetto ai compagni. «Si evince – ha affermato la ricercatrice del Cnr-Ifc Sonia Cerrai – una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione».

Il dato a sorpresa relativo alla percezione di genitori e insegnanti

Un dato sorprendete (fino a un certo punto) è quello relativo alla percezione del fenomeno da parte degli adulti: per oltre un intervistato su quattro tra questi ragazzi la scelta che ha fatto viene accettata dalla famiglia senza porsi domande in merito; il dato risulta essere simile tra gli insegnanti. Scendendo maggiormente nello specifico di quanto emerso, il 26% degli studenti che si sono isolati hanno detto che i genitori hanno accettato la cosa senza farsi domande, il 19,2% ha affermato che non si sono resi conto del periodo di isolamento mentre l’8,6% ha parlato di genitori preoccupati che hanno chiamato un medico.

Tra gli insegnanti, il 27% dei ragazzi afferma che non si sono particolarmente preoccupati; il 23% ha riferito che il docente ha pensato che lo studente fosse malato; nel 12% dei casi i docenti si sono preoccupati e hanno contattato i genitori. I genitori che hanno accettato la cosa senza porsi domande sono, in maggiore misura, quelli di coloro che si sono chiusi in casa per oltre sei mesi; tra i preHikikomori (dai 3 ai 6 mesi di isolamento), invece, troviamo le percentuali maggiori di genitori che si sono preoccupati e hanno chiamato o il medico o la scuola, manifestando anche rabbia e dando punizioni ai figli.

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