Squillino le trombe: la moderazione social è fallita

Dalle accuse di censura alla manica larga - larghissima - in alcune occasioni. Il tema della libertà di espressione del pensiero è stato al centro dei dibattiti sui social

27/01/2023 di Enzo Boldi

C’è un concetto ballerino che nel corso degli anni ha subìto moltissime modifiche e interpretazioni: la moderazione sui social. Un tema oggetto di lunghi dibattiti che non hanno coinvolto solamente gli attori protagonisti di queste piattaforme, ma anche la politica nazionale e internazionale. Si parla di libertà di espressione di pensiero all’interno di una piazza digitale paragonata all’agorà pubblica. Si parla dei limiti di questa libertà che, per ovvi motivi, deve necessariamente essere imbrigliata affinché quella di uno non travalichi i confini della violazione di quella altrui. Ma oggi, dopo diversi accadimenti che si sono susseguiti nel corso del tempo, appare evidente che qualcosa sia andato storto e il concetto di moderazione è finito in un metaverso distorsivo.

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C’è chi ha gridato alla censura per via di un post bannato o un profilo sospeso su una o più piattaforme. C’è anche chi si è lamentato di uno stop alle pubblicazioni sulle proprie pagine social dopo la condivisione di una o più fake news in ambito sanitario. E c’è anche chi ha protestato, rivolgendosi ai tribunali, dopo esser stato raggiungo da un provvedimento di sospensione per aver pubblicato post, foto o commenti che inneggiavano a ideologie vietate per legge, all’omofobia, alla xenofobia e a tutte le altre micro-categorie che rientrano nella macro-categoria del linguaggio dell’odio.

Moderazione social, una storia di in-successo

E poi cosa è successo? Il caso Twitter è il più emblematico: con il passaggio dalla vecchia alla nuova proprietà (targata Elon Musk), è cambiata anche la policy. Non è un caso, infatti, che il fondatore di Tesla si sia sempre definito “allergico” ai ban e ai blocchi (nonostante si sia reso protagonista, a più riprese, di atteggiamenti simili contro chi lo criticava), procedendo al “reintegro social” di personaggi che si erano macchiati di incitamento all’odio o alle rivolte popolari (come nel caso Donald Trump). E ora che Meta ha fatto lo stesso sembra realmente essere arrivato il giorno in cui la moderazione social può essere dichiarata fallita.

Troppe modifiche nel corso degli anni, troppi trattamenti non analoghi l’un con l’altro rispetto ai paletti stessi imposti dalle stesse piattaforme. Policies che sono una differente dall’altra, seppur basate su principi analoghi. D’altronde, anche la possibilità “concessa” a ogni singolo utente di segnalare contenuti ritenuti offensivi è differente da un social all’altro. E tutto questo ha creato un bipolarismo nel dibattito pubblico. Dentro e fuori le piattaforme.

Il ruolo delle piattaforme

Perché i vari social sono finiti al centro di un dibattito senza confine. Il caso Donald Trump è stata la “pietra dello scandalo” per i Repubblicani e gli ambienti di destra di tutti gli altri Paesi. Le critiche, infatti, si sono susseguite: prima contro Meta, poi contro Google e Twitter. Era, secondo la narrazione destrorsa, una violazione della libertà di espressione del pensiero, perché questo diritto – secondo loro – non dovrebbe conoscere limiti. Neanche di fronte alle evidenze di quel soffio perpetuo sul fuoco del dissenso che portò, il 6 gennaio del 2021, migliaia di persone a partecipare all’assalto a Capitol Hill.

I post dell’allora Presidente degli Stati Uniti (che aveva perso da poco le elezioni e che qualche giorno dopo avrebbe lasciato il suo posto alla Casa Bianca nelle mani di Joe Biden) erano inequivocabili: non solo le bufale sulla pandemia e sui “rimedi” anti-Covid, ma anche quei continui riferimenti al risultato elettorale artefatto (smentito dalle indagini che, in realtà, alla fine hanno individuato un numero maggiore di voti conteggiati male proprio in suo favore). E le piattaforme hanno provato a reagire d’istinto con un ban. Quello di Facebook durato due anni (come previsto) e che si è esaurito proprio nelle scorse ore; quello di Twitter sospeso con l’arrivo di Elon Musk e di un sondaggio proprio sulla sua piattaforma social.

Tutto finito?

E la resa dei conti della moderazione social sembra essere evidente dalle parole con cui il Presidente degli Affari Globali del gruppo Meta, Nick Clegg, ha annunciato la fine (già prevista, perché nel gennaio 2023 era prevista una revisione della decisione presa nel gennaio 2021 e confermata a giugno dello stesso anno) del ban nei confronti di Donald Trump: «Il pubblico deve essere in grado di ascoltare quello che i politici hanno da dire, soprattutto in un contesto di elezioni democratiche. In questo modo i cittadini possono effettuare scelte informate ai seggi».

Una spiegazione che sembra essere contraria ai principi della moderazione social (almeno su Meta, visto che su Twitter è già saltata da tempo): basta ricoprire un ruolo politico per ricevere un’amnistia social? Il pubblico deve essere in grado di ascoltare quello che i politici hanno da dire (cit. Clegg) nonostante quegli stessi politici si siano resi protagonisti, sulle piattaforme, di comportamenti sbagliati (come bufale e sobillazione delle folle)? Se vale questo, dunque, la capacità di moderazione social è definitivamente finita. Un’esperienza deceduta di fronte alle evidenze. Perché è vero che Meta ha promesso rigidi controlli sul comportamento di Trump e applicazione dei nuovi protocolli, ma risulta alquanto controversa la spiegazione che ha portato a un non rinnovo del ban da Facebook e Instagram:

«Per valutare se il grave rischio per la sicurezza pubblica esistente nel gennaio 2021 si sia sufficientemente attenuato, abbiamo valutato l’attuale contesto in base al nostro Crisis Policy Protocol, che includeva l’esame dello svolgimento delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti del 2022 e le valutazioni degli esperti sull’attuale ambiente di sicurezza. La nostra determinazione è che il rischio si sia sufficientemente ridotto e che dovremmo quindi rispettare la tempistica di due anni che abbiamo stabilito».

Eppure, su The Truth social (il suo social) Donald Trump ha continuato a fare il brutto e il cattivo tempo. Ha accusato la FBI di aver cospirato contro di lui, ha diffuso bufale anche sulle elezioni truccate nel 2020 (in riferimento alle ultime mid-term di novembre 2022) e ha più volte ricondiviso pensieri dei sostenitori di QAnon. Insomma, tutto fuorché un comportamento differente rispetto a quanto fatto prima dell’assalto di Capitol Hill. Dunque, la valutazione di Meta sembra essere una reprimenda del tipo: «Ok, ma ora non lo fai più». Nonostante lo spartito non sia cambiato. Né nelle parole, né nella musica.

(foto IPP/imagostock)

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