Far tornare Trump sui social network è una questione di monetizzazione?

Twitter non si è creato problemi etici perché c'è stato un cambio di proprietà (e di direzione). Meta sembra essersi adeguato al clima che si sta respirando in questi giorni intorno alla figura dell'ex presidente Trump

27/01/2023 di Redazione Giornalettismo

Elezioni, elezioni, elezioni. Di solito, questi periodi per i social network significano una sola cosa: monetizzazioni, monetizzazioni, monetizzazioni. Uno degli aspetti su cui le grandi piattaforme possono far leva è sicuramente quello di mettere a disposizione degli spazi – un po’ a mo’ di cartellonistica pubblicitaria – per i politici di turno, durante le elezioni (da quella più locale, a quella di portata nazionale). La corsa verso la Casa Bianca, nei prossimi mesi, entrerà nel vivo. Con essa, quindi, si moltiplicheranno le iniziative promozionali dei candidati: dapprima nella corsa alle primarie, poi in quella verso la presidenza. Meta, prima della decisione di riammettere Donald Trump sulla piattaforma, rischiava di tagliare fuori dal discorso monetizzazioni di tipo elettorale e politico un bacino potenziale di almeno 34 milioni di followers. Tanti, infatti, erano quelli che seguivano l’ex presidente degli Stati Uniti al momento della sua sospensione per ben due anni dal social network di proprietà di Mark Zuckerberg.

LEGGI ANCHE > La storia di Truth Social potrebbe rivelarci perché Trump tornerà su Facebook

Sponsorizzazioni elettorali Trump: possono aver avuto un ruolo nella riammissione su Facebook?

A pensar male si fa peccato, ma a volte ci si indovina. Poteva Meta – in un periodo in cui le prospettive di ricavi sono riviste verso il basso (tanto da “costringere” l’azienda anche a licenziare 11mila persone) – perdere un’occasione di questo tipo per attingere a un interessante bacino di fondi? Le sponsorizzazioni politiche, per policy del social network, sono dichiarate. Per le ultime elezioni presidenziali, Donald Trump ha investito 10 milioni di dollari su Facebook (7 milioni di dollari, invece, erano stati riservati a Google). Non era di certo un record (visto che lo stesso Biden aveva speso di più sulle piattaforme digitali), ma rappresentava sicuramente una fonte di entrata molto importante. E stiamo parlando soltanto delle sponsorizzazioni dirette a cura dello staff dell’ex presidente Usa: se si considera l’indotto di investitori e personalità politiche a lui vicini, sicuramente le cifre si alzano notevolmente.

Dal momento che Twitter ha sdoganato prima di tutti un potenziale ritorno di Trump sul social (anche se non ha immediatamente incrociato una risposta favorevole da parte del diretto interessato), Meta – con ogni probabilità – non ha voluto perdere il treno. Sembra poco probabile, infatti, che a contare sia stata soltanto la motivazione ufficiale fornita dall’azienda di Menlo Park (quella del venir meno della pericolosità della diffusione via social network di messaggi di odio). Piuttosto, un concorso di esigenze.

Visto che Twitter non ha più la necessità di essere ligio a precetti messi in fila, ormai, dalla precedente proprietà, non ha avuto problemi – anche in virtù della poliedrica personalità di Elon Musk – a cambiare rotta e a fare una inversione a U. Per Facebook, il discorso è un po’ più complesso. Ma – a quanto pare – nemmeno tanto.

Share this article