Quanto i social network (non) aiutano a sviluppare un pensiero critico?

Con la Staffetta dell'Umanità del prossimo 7 maggio, Michele Santoro usa i social per portare la comunità dal virtuale al reale

03/05/2023 di Nicole Volpe

Che ruolo hanno i social network e le piattaforme digitali nello sviluppo del pensiero autonomo? Dalla loro nascita, siamo sempre stati convinti che fossero uno strumento di democrazia. Un luogo virtuale dove poter trovare qualsiasi tipo di informazione e poter parlare liberamente di qualsiasi argomento. Eppure, a nostre spese, nel corso degli anni abbiamo sperimentato che non sempre questi aspetti corrispondono alla verità: i confronti sono diventati scontri, le opinioni sono diventate polarizzanti, il pensiero comune è diventato dominante e “la legge dell’algoritmo” prevale su tutto.

Di questa tendenza si è accorto Michele Santoro, che ha deciso non solo di fornire – con la sua app Servizio Pubblico – un’informazione libera ai suoi lettori, ma di offrire loro anche un luogo di incontro fisico e di riflessione condivisa nel corso della Staffetta dell’Umanità, che si svolgerà in tutta Italia il prossimo 7 maggio.

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I social network come forma di isolamento

Lo scorso 19 aprile, nel corso della conferenza stampa di appello alla società civile, la filosofa Donatella Di Cesare, che ha promosso la staffetta insieme a Santoro, ha analizzato in maniera chiara la natura delle piattaforme digitali di oggi: sono uno strumento che contribuisce al fenomeno (politico) dell’isolamento dei cittadini, soprattutto giovani.

Isolamento inteso come il singolo che sta davanti ad uno schermo, in cerca di informazioni, che non ha modo di accedere a uno spazio di confronto condiviso.
Pensiamoci: fruiamo quotidianamente di un flusso infinito di informazioni, ma spesso ci risulta difficile distinguere tra quelle reali e le fake news, confezionate – quasi – a pacchetto per sembrare vere.

In questo continuo bombardamento, in cui tutto sembra un’urgenza, facciamo fatica a individuare una gerarchia di priorità. Facciamo fatica a interpretare e ad approfondire la realtà che ci circonda, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di strumenti. Ma soprattutto non troviamo una comunità reale, fisica, con cui condividere il nostro pensiero, che ci aiuti a mediare e interpretare le informazioni di un mondo che – come ha osservato Donatella Di Cesare – è diventato illeggibile.

E, a questo proposito, come può un individuo formare un suo pensiero tramite i social network se l’algoritmo spinge per pubblicare solo contenuti che hanno una linea ben precisa e se vige un sistema di raccomandazione del contenuto? La risposta non è semplice. Ma può essere riassunta in due azioni: informarsi in maniera indipendente e tornare al confronto reale, senza demonizzare il dissenso.

Come sfruttare le piattaforme digitali per creare forme di aggregazione offline

Nonostante le criticità, i social però restano sempre uno degli strumenti più utilizzati dalle persone comuni. Sia come mezzo di informazione, che come strumento di connessione e creazione di community. Pensare quindi di fare comunicazione e di raggiungere le persone senza l’utilizzo dei social è pura utopia.

A questo proposito, è stata emblematica la frase pronunciata da Michele Santoro nel corso della conferenza stampa del 19 aprile: «Se usciamo dai social non siamo più niente». Quindi, preso atto del loro ruolo nel mondo dell’informazione, perché non sfruttare la loro potenzialità? Perché non portare la comunità virtuale in un luogo reale?

Ed è qui che Michele Santoro dà la sua risposta con la Staffetta dell’Umanità. Tramite una capillare attività sull’app e sui social network è riuscito a creare un evento che porti fisicamente le persone in marcia, in tutta Italia, per chiedere la pace. Ha utilizzato uno strumento virtuale per riscoprire un luogo fisico di confronto.
Un’occasione – come lui stesso rivela ai microfoni di Giornalettismo – «per andare a respirare all’aria aperta», con «l’ambizione di superare la montagna dell’indifferenza che si diffonde tramite i social».

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