Michele Santoro: «La Staffetta dell’Umanità ci farà riscoprire ciò che è fisico, uscendo dalla gabbia del virtuale»

Il giornalista, insieme a un nutrito gruppo di intellettuali, ha firmato un appello per una grande marcia il 7 maggio: le ragioni della sua scelta

03/05/2023 di Gianmichele Laino

La Staffetta dell’Umanità è un progetto ambizioso. Del resto, tenere insieme l’Italia – al giorno d’oggi – è quanto di più complesso possa esserci. Farlo lungo un percorso di 4mila chilometri, per cercare di portare un messaggio di pace, è ancora più difficile. Michele Santoro, che ha lanciato l’iniziativa il 19 aprile scorso in conferenza stampa, ne è consapevole. Nella redazione di Servizio Pubblico, insieme a giovani volontari e aspiranti professionisti, sta unendo esperienze, racconti e nuove tecnologie. «C’è una caratteristica che sta assumendo questa iniziativa che sicuramente non può fare a meno delle tecnologie: in tutte le loro forme è quasi costretta a utilizzarle – spiega ai microfoni di Giornalettismo -. Tuttavia, non le impiega con l’ordine del discorso dettato da un algoritmo: la Staffetta dell’Umanità del 7 maggio sta nascendo in un caos virtuale. Io avevo l’idea di unire l’Italia da Aosta a Lampedusa, poi la Rete dei Cammini è intervenuta nel disegnare il tracciato di domenica. L’associazione ha realizzato un percorso che richiede un livello di partecipazione eccezionale da parte di chi ha aderito, ciascuno con il proprio chilometro da percorrere. È una sfida complessa che ha richiesto e continua a richiedere la partecipazione di tante persone diverse».

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La Staffetta dell’Umanità, l’intervista a Michele Santoro

A rendere il tutto ancora più sfidante è l’assenza dei media che ignorano un progetto e un’iniziativa che, al contrario, avrebbero tutte le caratteristiche della notiziabilità. «Il silenzio dei mezzi di comunicazione è assordante – continua Santoro -. Basti pensare che uno dei primi firmatari dell’appello alla staffetta è Carlo Rovelli, che è sotto i riflettori della stampa nazionale per il suo discorso al concerto del Primo Maggio. Tutti, tranne alcune lodevoli eccezioni come il Fatto Quotidiano, si guardano bene dal dire che è tra i firmatari dell’iniziativa del 7 maggio. Per non parlare dei notiziari televisivi, che vanno sempre più nella direzione del telegiornale unico. Di conseguenza, si capisce sempre di più l’importanza che può assumere uno strumento indipendente come l’applicazione di Servizio Pubblico. Bisogna tener conto che anche le nuove tecnologie sono strumenti di connessione di un sistema. Ma le tecnologie risentono del flusso che determina l’algoritmo, quindi possono oscurare una notizia o, usate in un certo modo, possono perforare la censura».

Ovviamente, le difficoltà si incontrano anche con quelli che dovrebbero essere degli strumenti di informazione e di diffusione delle informazioni più comuni. I social network, ad esempio. Il sistema della raccomandazione del contenuto e la gestione dell’algoritmo – lo abbiamo detto tante volte – penalizza in maniera molto forte la trattazione di alcuni argomenti specifici, come quello della guerra. E – paradossalmente – quello della pace. «È un tema – spiega Santoro -. Anche se si hanno dei profili social (soprattutto su Facebook) molto seguiti, quando si parla di argomenti scomodi, gli algoritmi “americani” ostacolano la diffusione di queste notizie».

Ancora una volta, dunque, il tentativo è quello di invertire la logica che ormai è stata data per acquisita dai principali media nazionali e internazionali. E, per farlo, occorre proporre dei contenuti esclusivi. L’intervista a Giuseppe Conte, che Servizio Pubblico proporrà nella giornata di domani, 4 maggio, è sicuramente un caso di scuola. Mai, in Italia, un progetto indipendente è riuscito, nei suoi primi mesi di vita, a raccogliere l’opinione di un ex presidente del Consiglio: «È una pietra miliare – dice Santoro -. Vedere un ex presidente del Consiglio in un “covo di pacifisti” è un’emozione forte: è la legittimazione dell’importanza di quello che stiamo facendo, che è segnata anche dalla crescita dei numeri della nostra applicazione. I dubbi, al massimo, riguardano sempre il sistema imprenditoriale italiano che, di fronte alle novità, si pone sempre in posizione di difesa, con molta attenzione ai propri interessi di lobby. Il paradosso è quello di un’iniziativa forte, che non trova supporto nell’imprenditoria se non tra chi, per mestiere, ha frequentato da sempre le nuove tecnologie, come nel caso di Mosai.co, che si sta impegnando in questa direzione».

Il ponte dal virtuale al reale e l’appello ai giovani, nell’intervista a Michele Santoro

Dal virtuale al reale, dal digitale alla vita vissuta. L’iniziativa della Staffetta dell’Umanità rappresenta un ponte tra questi due mondi, l’esempio pratico di come una comunità pensante, che si informa attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione, possa uscire fuori dallo schermo di uno smartphone e – anche con un po’ di coraggio – provare a lanciare un messaggio al Paese: «Non so se il programma dell’applicazione di Servizio Pubblico sia utopico, quasi religioso. Nel senso etimologico di religio, “tenere insieme”. La costruzione di una comunità ha sempre un respiro utopico. Tra le sue utopie, il nostro programma ha anche quello di riscoprire ciò che è fisico, perché siamo prigionieri del virtuale. Non vogliamo essere ingabbiati dall’algoritmo. Andare a respirare all’aria aperta, come si fa con questa staffetta, significa anche avere l’ambizione di superare la montagna dell’indifferenza che si diffonde attraverso i social. Non c’erano allora e non ci sono oggi solo fascisti e antifascisti, ma anche tanti indifferenti che facevano e fanno finta di non vedere».

L’indifferenza, tra l’altro, è uno spazio che proprio non si addice alle giovani generazioni. Queste ultime sono impegnate in prima persona nell’organizzazione dell’evento del 7 maggio: come si diceva, volontari e aspiranti professionisti che popolano le stanze romane di Servizio Pubblico si stanno prodigando per rendere possibile questa integrazione, attraverso le tecnologie e attraverso un’assidua cura del contatto e della relazione, tra mondo digitale e mondo reale. «Ho intrapreso un’avventura come questa per consentire ai giovani di impadronirsi di questa iniziativa per farne qualcosa di nuovo – conclude Santoro -. Quello che riscontro nei giovani è che, da una parte, sono insoddisfatti e rifiutano le forme di comunicazione del vecchio mondo; ma dall’altra parte, nel cercare nuove forme di comunicazione, si affidano a qualcuno che dica loro cosa devono fare, che sia un algoritmo o che sia io stesso per quanto riguarda il piccolo universo di Servizio Pubblico. Invece, c’è bisogno del coraggio del fare, di prendere in mano questi strumenti, di indirizzarli secondo la propria sensibilità, di nutrirli di una nuova forma di comunicazione, con lo spazio di pensare con la propria testa. Questa staffetta non è di Michele Santoro, ma è dei giovani: sono loro che la stanno organizzando e costruendo, sono loro che stanno dando vita a un evento straordinario di portata nazionale. L’età media delle persone che stanno lavorando a questo progetto è di poco superiore ai vent’anni: disegna un cammino che si chiama speranza».

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