Un rooting su Google Cloud ha fatto riemergere le sequenze di Sars-Cov-2 che erano state fatte sparire
L'operazione nel cloud del motore di ricerca ha permesso di scoprire parte di un database che sembrava essere stato cancellato di proposito
24/06/2021 di Gianmichele Laino
Premettiamo una cosa molto importante. Il fatto che siano esistite alcune sequenze di Sars-Cov-2 e che poi queste ultime siano state fatte sparire più o meno consapevolmente rappresenta sicuramente un’azione sospetta. Ma nulla aggiunge e nulla toglie alla normale trasformazione e mutazione di un virus di origine naturale: non si può collegare il fenomeno delle sequenze coronavirus scomparse (e ritrovate dal ricercatore Jesse D. Bloom) a una presuna creazione in laboratorio del virus stesso o, ancora, a una fuga del virus dal laboratorio di Wuhan. È un’informazione che va presa per quello che è: probabilmente qualcuno, già prima dello scoppio della pandemia alla fine del 2019, stava studiando il Sars-Cov-2. Bisognerà capire perché, nel frattempo, i dati di quello studio siano stati cancellati. Lo studio che cerca di spiegare questo aspetto è ancora in peer review, in attesa di pubblicazione.
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Sequenze coronavirus scomparse, il ruolo di Google Cloud
Cancellati, ma non benissimo. In effetti, in base a quanto risulta da un incrocio di citazioni su altri studi esaminati da Jesse D. Bloom, originariamente ci sarebbero state ben 241 sequenze di Sars-Cov-2 all’interno del Sequence Read Archive, un archivio scientifico online gestito dalla National Library of Medicine del governo degli Stati Uniti. Da questo archivio i dati sono scomparsi. Ma è bastato eseguire una operazione di rooting su Google Cloud per venire a capo di almeno 13 di queste sequenze che sono state prima studiate e poi rimosse.
Cos’è il rooting su Google Cloud
Il rooting è un sistema che consente di ottenere degli accessi privilegiati su vari sottosistemi Android. È come se il dottor Bloom fosse stato una sorta di “utente zero” (la suggestione era troppo forte per non utilizzare questa espressione) di quanto contenuto nella nuvola di dati gestita da Google. È una tecnica che ha permesso di superare gli ostacoli posti dagli sviluppatori a una serie di dati. Ogni sequenza di coronavirus successivamente cancellata – come ha scoperto Bloom – era contenuta in un file nel cloud e i nomi dei file condividevano tutti lo stesso formato di base. Così facendo è riuscito a recuperare 13 di queste 241 sequenze. Alcune di queste erano molto diverse rispetto a quelle del mercato del pesce di Wuhan, ritenuto da sempre il cratere della pandemia mondiale. Ciò significa, probabilmente, che questo virus circolava già da prima in città.
La domanda che ci si pone, al di là del “trucco” informatico utilizzato da Bloom per reperire alcune di queste sequenze, è perché siano scomparse dal database della National Library of Medicine. A quanto pare, secondo un portavoce dell’istituto, la richiesta di cancellazione di questi dati sarebbe avvenuta nel giugno del 2020, quando si intravedeva uno spiraglio sulla fine della prima e più acuta fase della pandemia nel mondo. Bloom è un inguaribile ottimista: «Ovviamente non posso escludere che le sequenze si trovino su qualche altro database o pagina web, da qualche parte, ma non sono riuscito a trovarle in nessuno dei posti in cui mi è venuto in mente di cercare».