Cosa ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea sul «diritto all’oblio»?

La sentenza n.197 dell'8 dicembre 2022 ha stabilito delle nuove norme relative al diritto alla cancellazione o «diritto all’oblio». Si tratta della sentenza di un contenzioso iniziato nel 2015 tra Google e coppia di dirigenti

03/01/2023 di Giordana Battisti

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza n.197 dell’8 dicembre 2022, ha stabilito delle nuove norme relative al diritto alla cancellazione o «diritto all’oblio», disciplinato dall’art.17 del GDPR, il Regolamento generale sulla protezione dei dati.

Nel comunicato stampa diffuso dalla Corte si legge che «il gestore di un motore di ricerca deve deindicizzare le informazioni incluse nel contenuto indicizzato quando il richiedente dimostri che sono manifestamente inesatte». La persona che richiede la deindicizzazione delle informazioni ritenute inesatte, quindi la rimozione di questi contenuti, è tenuta a dimostrare l’inesattezza delle informazioni ma questa prova «non deve necessariamente risultare da una decisione giudiziaria ottenuta nei confronti dell’editore del sito Internet». La sentenza stabilisce infatti che se la persona che richiede la deindicizzazione di un contenuto presenta «elementi di prova pertinenti e sufficienti», allora «il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere tale domanda». La Corte richiede inoltre che il gestore del motore di ricerca avverta gli utenti «dell’esistenza di un procedimento amministrativo o giurisdizionale vertente sull’asserito carattere inesatto di un contenuto».

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La sentenza dell’UE nel contenzioso tra una coppia di dirigenti e  Google

Nel 2015 due dirigenti di un gruppo di società di investimenti hanno chiesto a Google di deindicizzare i risultati di una ricerca effettuata a partire dai loro nomi e che contenevano dei link a degli articoli che presentavano in modo critico il modello di investimento del gruppo. Secondo i richiedenti quelle informazioni erano inesatte. I due dirigenti hanno anche chiesto di eliminare delle loro foto che comparivano tra i risultati di una ricerca di immagini effettuata a partire dai loro nomi. Le immagini erano probabilmente contenute negli articoli di cui si richiedeva la rimozione ma nel momento in cui venivano visualizzate nei risultati di ricerca sotto forma di miniature (“thumbnails”) non riportavano gli elementi di contesto della pubblicazione delle foto.

Google non ha accolto questa richiesta sostenendo che gli articoli e le foto si inserivano in un preciso «contesto professionale» e che non era a conoscenza della veridicità o meno delle informazioni riportate. I due dirigenti si erano quindi rivolti alla giustizia tedesca ma sia il tribunale di Colonia sia la Corte d’Appello avevano stabilito che Google avesse ragione. La Corte federale di giustizia, l’ultimo grado di giudizio, ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di interpretare il Regolamento generale sulla protezione dei dati che disciplina appunto anche il cosiddetto diritto alla cancellazione.

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