Sceneggiatori contro l’AI con uno sciopero: cosa succede da due settimane a questa parte

Ad Hollywood, tra le ragioni dello sciopero degli sceneggiatori, c'è anche lo spettro dell'intelligenza artificiale

19/05/2023 di Redazione Giornalettismo

Una delle richieste per una nuova contrattazione collettiva è stata quella di inserire, all’interno del testo che avrebbe dovuto disciplinare il nuovo rapporto di lavoro tra le case di produzione e gli sceneggiatori, un riferimento al concetto di “esseri umani”. E questo la dice lunga sui tempi che stiamo attraversando e sulle peripezie che si stanno verificando a causa proprio dell’intelligenza artificiale. Da due settimane sta andando avanti una protesta – lanciata simbolicamente il 1° maggio – della Writers Guild of America, la più importante piattaforma sociale intorno a cui si riuniscono i lavoratori nel campo della sceneggiatura. Un vero e proprio sciopero degli sceneggiatori, insomma, che sta rallentando sicuramente alcune delle più importanti produzioni cinematografiche di Hollywood. E, questa volta, non abbiamo a che fare con cavilli o con meline che hanno reso famosi gli sviluppatori della serie tv Boris che – da anni ormai – incarnano alla perfezione il prototipo della figura professionale nell’immaginario collettivo. Ma – battute a parte – è tempo di affrontare seriamente i rischi che, da questo momento in poi, le scene dei film vengano scritte sulla base di un algoritmo.

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Sciopero degli sceneggiatori, le rivendicazioni degli autori contro l’intelligenza artificiale

Non è detto che queste proteste si esauriscano in un tempo estremamente ridotto. Il precedente sciopero degli sceneggiatori (nel 2007) andò avanti per diversi mesi, prima che i contratti fossero effettivamente cambiati. Il problema di questa tornata di proteste, tuttavia, sembra essere di natura completamente separata rispetto alle rivendicazioni puramente salariali del primo decennio del nuovo millennio. Adesso, il problema è il ruolo che l’intelligenza artificiale va a rivestire rispetto a un mestiere che è frutto (o è stato frutto fino agli ultimi anni) esclusivamente della creatività umana.

Mentre sui ritocchi di salario, infatti, sembra che l’associazione dei produzioni americana sia piuttosto disponibile, quello che proprio esclude è l’inserimento dei riferimenti all’intelligenza artificiale nei nuovi contratti. E questa è considerata, da chi protesta, una vera e propria avvisaglia rispetto a quello che sarà: se l’intelligenza artificiale e gli algoritmi, infatti, riusciranno a ottenere dei risultati soddisfacenti in termini di scrittura delle sceneggiature, poi, non ci saranno più stipendi – ritoccati verso l’alto o meno – da pagare, visti i tagli che verosimilmente potrebbero essere estesi alle varie writers room.

La protesta degli sceneggiatori di Hollywood è arrivata anche in Italia: Writers Guild Italia ha esteso la sua solidarietà ai colleghi d’oltreoceano e questa comunione d’intenti potrebbe avere degli effetti anche nel nostro Paese, particolarmente sensibile – del resto – a iniziative contro l’intelligenza artificiale da parte delle persone che si occupano dei mestieri dell’ingegno. In questi mesi, Giornalettismo ha analizzato da vicino quanto accaduto nel mondo della fotografia, con i rischi che le immagini scattate dai professionisti potessero essere “rubate” nei database consultati per il training dell’intelligenza artificiale senza consenso. Oppure, ha analizzato quanto sta accadendo nell’industria musicale (per gli stessi motivi) o in quella dell’illustrazione e del fumetto. Senza contare le preoccupazioni per il mercato delle news e del copywriting editoriale. Ed è di questi giorni l’allarme di Geoffrey Hinton, uno dei più celebri scienziati cognitivi al mondo, tra i primi a esplorare le frontiere del deep learning. Lo sta dicendo al pubblico anglosassone, ora lo ha detto anche in Italia ai giornalisti del Venerdì di Repubblica: «Abbiamo bisogno di dati e studi prima che, per lo sviluppo dell’AI, sia troppo tardi».

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