Russiagate, il Senato conferma i contatti tra la campagna di Trump e Mosca

Le conclusioni della commissione bipartisan riconoscono che la Russia tentò di aiutare l'elezione di Trump tramite Paul Manafort e Wikileaks

19/08/2020 di Redazione

Riscoppia lo scandalo Russiagate. E stavolta a dare il là alle polemiche è la relazione della commissione bipartisan guidata fino a maggio dal repubblicano Richard Burr, secondo la quale il governo russo usò i suoi rapporti con l’allora capo della campagna di Trump, Paul Manafort, e il sito WikiLeaks per aiutare l’attuale inquilino della Casa Bianca nella sua sfida contro Hillary Clinton. Un tentativo che sarebbe stato guidato direttamente da Vladimir Putin, vero ideatore della campagna di attacchi informatici che avrebbero danneggiato i democratici e Clinton.

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Scandalo Russiagate, cosa ha scoperto la commissione

Nelle 966 pagine del report della commissione del Senato si sottolinea in particolare il ruolo chjiave giocato da WikiLeaks nell’aiutare il Cremlino a sostenere la campagna di Trump contro Hillary Clinton. Un ruolo che l’organizzazione fondata da Julian Assange avrebbe avuto probabilmente essendone consapevole. Ma il report parla anche del ruolo di Paul Manafort, l’allora capo della campagna di Trump che avrebbe lavorato con la spia russa Konstantin Kilimnik creando una “grave minaccia di controspionaggio”. C’è poi il ruolo di Roger Stone, altro fedelissimo di Trump che su pressione dell’Attorney General ha da poco evitato una dura condanna per aver mentito al Congresso, che avrebbe da intermediario tra Trump e la sua campagna e Wikileaks. Nel report si parla anche del famoso incontro del giugno 2016 alla Trump Tower, che sarebbe stato parte di una “più ampia operazione di influenza” russa anche se non ci sono prove che la campagna del presidente ne fosse al corrente. Una volta vinte le elezioni poi, gli stessi Manafort e Kilimnik si sarebbero impegnati per spargere il sospetto che fosse stata l’Ucraina e non la Russia a tentare di condizionare le elezioni, mentre il Cremlino avrebbe sfruttato l’inesperienza del team di Trump e della sua totale avversione alle politiche dell’amministrazione Obama per trarre importanti benefici durante il periodo di transizione tra novembre 2016 e il 20 gennaio 2017. Un minaccia, quella russa, che potrebbe aver tratto in inganno anche l’Fbi col controverso dossier Steele su Trump e che secondo la commissione in questa campagna elettorale sarà ancora più forte e pericoloso.

Trump: “Lo scandalo Russiagate è una pagliacciata”

Sebbene d’accordo sui fatti, le conclusioni dei due partiti sono però state molto diverse, con i democratici che, pur non essendo presente la parola collusione nel testo del report, definiscono i contatti tra i membri della campagna di Trump e la Russia “da togliere il respiro” parlando di una “reale minaccia di controspionaggio”. I repubblicani invece, per voce del chair temporaneo della commissione Marco Rubio, subentrato a Burr per un’inchiesta sulle azioni in borsa del senatore della Nord Carolina, negano “ogni evidenza di collusione tra Trump e la sua compagna e il governo russo”. Parole subito riprese dal presidente, che dall’Arizona ha prima negato di aver sentito niente a riguardo, per poi definire l’inchiesta “una pagliacciata” e infine retwittare l’intervento di Rubio su Fox News.

 

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