I Rohingya fanno causa a Facebook per 150 miliardi di dollari per incitamento all’odio in Myanmar

Decine di rifugiati Rohingya nel Regno Unito e negli Stati Uniti hanno citato in giudizio Meta, accusando il gigante dei social media di aver permesso la diffusione di discorsi di odio contro di loro

07/12/2021 di Giorgia Giangrande

In Regno Unito e negli Stati Uniti, decine di rifugiati Rohingya hanno fatto causa a Facebook (adesso Meta). L’accusa? Non ha fatto abbastanza per contrastare la diffusione di discorsi con incitamento all’odio nei confronti della minoranza perseguitata. Al contrario, sembra aver permesso un aumento di tale discriminazione. Adesso i Rohingya chiedono più di 150 miliardi di dollari di risarcimento, che corrispondono a circa 133 miliardi di euro.

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Cosa è successo ai Rohingya che adesso fanno causa a Facebook?

Secondo quanto riportato da BBC News, si stima che 10.000 musulmani Rohingya siano stati uccisi durante una repressione militare in Myanmar a maggioranza buddista nel 2017. E ora, in Regno Unito, uno studio legale rappresenterà i diritti di coloro che premono affinché il colosso dei social media si assuma le proprie responsabilità. Nella lettera a Facebook, lo studio legale (e i rifugiati che quest’ultimo rappresenta) accusa l’azienda di aver permesso «la diffusione di disinformazione odiosa e pericolosa per anni». Vengono poi tirati in ballo anche gli algoritmi di Facebook, in quanto sembra che abbiano «amplificato il discorso di odio contro il popolo Rohingya».

La lettera poi continua accusando l’azienda di: non aver investito in moderatori e fact-checker che conoscevano la situazione politica in Myanmar; non aver sospeso o cancellato gli account che incitavano alla violenza contro i Rohingy; non aver intrapreso «azioni appropriate e tempestive», nonostante gli avvertimenti delle associazioni di beneficenza e dei media.
A prova delle varie accuse che Meta sta ricevendo sulla questione – anche da parte degli Stati Uniti – c’è anche un post di Facebook risalente al 2013 in cui si legge: «Dobbiamo combatterli come Hitler fece con gli ebrei». E ancora: «Versate carburante e appiccate il fuoco in modo che possano incontrare Allah più velocemente».

Facebook e l’ammissione di colpa: non ha fatto abbastanza

Nel 2018, quando la piattaforma di social media era molto popolare in Myanmar, Facebook ha ammesso di non aver fatto abbastanza per prevenire l’incitamento alla violenza e i discorsi di odio contro i Rohingya: l’azienda non ha moderato attivamente i contenuti in lingue locali come il birmano e il rakhine. Mark Zuckerberg ha ammesso personalmente di aver commesso degli errori nel periodo precedente alla violenza diffusa in quel Paese e questo è ciò che rende questa causa particolarmente interessante e diversa dalle altre simili. Poiché se in altri casi – come quello sul possibile coinvolgimento dell’azienda nella diffusione della disinformazione legata al Covid-19 – l’azienda si è sempre voltata dall’altra parte, in questo caso Meta non nega che avrebbe potuto fare di più.

Inoltre, c’è da dire che negli Stati Uniti Facebook è ampiamente protetto dalla responsabilità sui contenuti pubblicati dai suoi utenti, ma la legge del Myanmar non ha tali protezioni e, quindi, dovrebbe prevalere nel caso. Questi elementi potrebbero già essere un punto di partenza per dare un epilogo positivo alla causa dei Rohingya. Tra il dire e il fare però c’è un davvero Meta risarcirà la minoranza con 150 miliardi di dollari?

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