Prima Palermo e poi Caivano, continuerà la narrazione della Roccella sul porno online?

Le sue parole dal Meeting di Rimini hanno scatenato un dibattito che, già in passato, era stato più volte ripreso dalla politica, mostrando evidente scollamento con la realtà dei fatti

25/08/2023 di Gianmichele Laino

Le pagine della cronaca di fine agosto si sono riempite di chat, dichiarazioni, decisioni della giustizia (a volte anche contraddittorie tra loro) sui sette ragazzi che si sono resi protagonisti della violenza sessuale di gruppo a Palermo. Gli ultimi giorni del mese – e immaginiamo anche i primi di settembre – saranno sicuramente riempiti da altrettante pagine su quanto documentato questa mattina dal quotidiano Il Mattino: a Caivano, due ragazzine di 13 anni sarebbero state vittime di violenza sessuale, perpetrata da sei ragazzi (solo uno di questi è maggiorenne, mentre gli altri avrebbero la stessa età delle due ragazzine). È evidente che, in presenza di questi fatti di cronaca, con l’escalation sempre più pressante di casi che riguardano giovani o – addirittura – minori, le parole della ministra Eugenia Roccella sul porno online, nel corso del Meeting di Rimini, continuano a essere oggetto di dibattito.

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Roccella sul porno, le sue parole alla luce dei fatti di cronaca

Partiamo dalle affermazioni della ministra della Famiglia: «Stiamo preparando una campagna nelle scuole, ma il caso di Palermo è stato lampante su questo – ha detto Roccella – c’è un problema proprio di una sfida educativa che dobbiamo vincere e che richiede forse anche altri strumenti, per esempio un intervento sul controllo nei confronti della fruizione da parte dei minori del porno». La domanda che si può sicuramente fare è: come è possibile oggi, con le tecnologie attualmente a disposizione di tutti, effettuare un controllo sui minori che guardano video pornografici online?

Sarebbe un po’ come proporre – ed è stato fatto in passato – di utilizzare la carta d’identità o lo spid per poter superare l’age verification sui social network. Non è un mistero che il parental control sui dispositivi possa essere facilmente aggirato da una generazione di nativi digitali. Così come non è un mistero che le piattaforme con contenuti per adulti inseriscano davvero una barriera troppo sottile per poter schermare efficacemente l’accesso di minori di 18 anni (per i quali – lo ricordiamo – la disciplina sul divieto per fasce d’età dei contenuti audiovisivi è già operativa).

Ma avrebbe davvero senso – o sarebbe comunque tecnicamente possibile senza invasioni nella privacy e nella gestione dei dati personali dei minori – un divieto come quello proposto dalla ministra Roccella? Anche perché, al di là della fattibilità tecnica, c’è un problema di concetto alla base: dire che i contenuti per adulti dovrebbero essere vietati, esponendo questa argomentazione in risposta a una questione emergenziale come gli stupri perpetrati dai giovani o – come nel caso di Caivano – da minori, significa fare di una cosa la conseguenza dell’altra. Per paradosso, dovremmo ammettere che la ministra Roccella stia dicendo che la causa degli stupri sia la fruizione del porno online? Cosa dire, allora, di tutti gli altri comportamenti che si verificano sui social network e che potrebbero comportare azioni altrettanto deleterie nella nostra vita offline?

I divieti – come vedremo nel monografico di Giornalettismo di oggi – sono stati sempre proposti (e mai attuati), proprio perché nulla potrebbero senza una solida educazione di base, che possa sensibilizzare – anche attraverso il digitale – su queste tematiche.

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