Una dipendente ha parlato dei rischi per la salute mentale che corrono i moderatori di Facebook

Una dipendente di Facebook in Irlanda ha riferito in commissione parlamentare cosa significhi lavorare come moderatori per Facebook

12/05/2021 di Ilaria Roncone

«Ogni giorno è stato un incubo»: questo è parte di quanto dichiarato in commissione parlamentare da Isabella Plunkett, che ha lavorato come moderatrice Facebook per due anni e che – attualmente – ricopre ancora questo ruolo. Quello che fa un moderatore – almeno presso il colosso di Menlo Park – è rivedere i post sulla piattaforma e controllare che non contengano tutta quella serie di contenuti (dalla violenza esplicita all’incitamento al suicidio) che sulla piattaforma non sono ammessi. Facebook afferma di fornire supporto h24 al proprio personale ma lo studio legale Foxglove, congiuntamente con il Communication Workers Union, si è esposto in rappresentanza della categoria moderatori per chiedere un supporto psicologico migliore e la libertà di parlare.

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L’accordo di non divulgazione dei moderatori Facebook

La moderatrice ha parlato del suo lavoro pur sapendo di non poterlo fare o comunque non sapendo fino a che punto, considerato che tutti devono firmare un accordo di non divulgazione all’inizio del contratto. «Sono qui a parlare apertamente e in realtà non so necessariamente in dettaglio cosa sono legalmente autorizzato a dire e non a dire – ha riferito in commissione – da sempre è chiaro che non possiamo parlare del nostro lavoro con amici, familiari». Facebook, dal canto suo, ha definito questa una procedura standard. I moderatori possono discutere del proprio lavoro in generale ma non, nello specifico, dei dettagli dei contenuti che si trovano a esaminare.

L’impatto del lavoro sulla salute mentale

Plunkett ha affermato che si tratta di un lavoro che richiede enormi sforzi a livello mentale e che lascia strascichi: «Faccio questo lavoro da due anni e non credo che potrei farlo per molto tempo ancora – dichiara – perché non è come un lavoro normale, le cose che vedi ti rimangono radicate nella mente». Il compito di Isabella – come quello degli altri moderatori – è quello di esaminare cento “ticket” al giorno e si può trattare di immagini, video o testi che spesso mostrano violenza, abusi, contenuti espliciti e sfruttamento.

Lavorando non direttamente per Facebook ma per Covalen – uno dei maggiori appaltatori di Facebook in Irlanda – si vede costretta a fare i conti con le segnalazione con maggiore priorità perché non le è permesso di lavorare da casa ma sempre in sede. I contenuti da moderare con priorità alta sono «la violenza, la pedopornografia, lo sfruttamento e i suicidi» cosa che – alla lunga – ha fatto crescere la sua ansia e l’ha spinta a prendere antidepressivi. In tutto questo, il sostegno fornito da Facebook è stato definito «insufficiente».

Al netto del fatto che ai moderatori viene anche chiesto di firmare un foglio in cui si afferma che quel lavoro potrebbe provocare cattiva condizioni di salute mentale e Disturbo Post Traumatico da Stress, alla luce della testimonianza sembra evidente che quello che fa Facebook in Irlanda non sia abbastanza per garantire la sicurezza dei lavoratori.

Più algoritmi, meno persone

Facebook sta andando sempre più nella direzione in cui le persone che fanno da moderatori dovrebbero diminuire a favore di un maggiore utilizzo dell’intelligenza artificiale. La moderatrice ha però definito questa una «fantasia» del colosso poiché i sistemi «non sono vicini a quello stadio». Ciliegina sulla torta, dalla testimonianza è emerso anche che tutti i moderatori Facebook che parlano di questa situazione ed esprimono dubbi o disagi vedono i loro commenti cancellati e – come conseguenza – si vivrebbe in un clima di paura e di timore per quanto riguarda perdere il lavoro.

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