«Giornalismo social? Il limite è puntare all’engagement invece che all’interesse pubblico», intervista al presidente ODG Emilia-Romagna
Il giornalismo deve venire prima del canale di informazione e deve seguire una stella polare ben diversa da quella dei numeri: l'opinione di Silvestro Ramunno (presidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna)
21/02/2023 di Ilaria Roncone
Era l’8 novembre 2022 quando il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti si è pronunciato a favore di una riforma praticantato giornalistico che desse la possibilità di diventare praticanti – accedendo così all’esame per diventare giornalisti professionisti – anche senza essere assunti da una testata e senza, di conseguenza, la certificazione di un direttore responsabile. Con questa decisione – che è stata sospesa in seguito al parere negativo del Ministero della Giustizia in merito – si aprivano le porte ad addetti stampa, social media manager, freelance, precari e a tutti coloro che appartengono alla cosiddetta categoria dei “giornalisti influencer”. Della questione – in tutte le sue possibili declinazioni anche future – abbiamo scelto di parlare con Silvestro Ramunno, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna.
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«Ad oggi quella delibera è sospesa, non ha effetti»
Abbiamo provato a capire, insieme a Ramunno, a che punto sia la definizione della norma che dovrebbe cambiare il modo di accesso al praticantato: «Senza voler entrare in una disputa legale sul tema delle competenze dell’Ordine dei Giornalisti e di quelle del ministero di Giustizia – spiega il presidente dell’ODG Emilia-Romagna – ad oggi quella delibera è sospesa, non ha effetti».
«È in corso un’interlocuzione tra ordine e ministero sui criteri interpretativi dell’articolo 34 della legge 69\63, cioè l’articolo che regola l’accesso alla professione giornalistica. Una precisazione ci tengo a farla: quella delibera prevedeva che l’avvenuta pratica fosse “certificata” dal consiglio dell’Ordine regionale cui era stata fatta richiesta, non da altri, e prevedeva l’affiancamento di un tutor giornalista al praticante durante i 18 mesi di durata del praticantato».
La situazione in cui ci troviamo, per ora, è quindi quella di un dialogo in corso tra ordine e ministero che punta a trovare la quadra rispetto a quella che – da quando l’ordine esiste – è la regola per l’accesso alla professione a livello professionale così come l’abbiamo sempre conosciuta.
Cosa cambierebbe, a livello qualitativo, per l’informazione?
Ci siamo domandati, tra le altre cose, se e cosa cambierebbe – a livello qualitativo – se l’accesso alla professione iniziasse ad essere determinato in questo nuovo modo. Ramunno sottolinea, innanzitutto, che per dare un giudizio compiuto su questo occorrerà capire l’esito del confronto ordine-ministero: «Ad oggi direi che in questa vicenda si sono confrontate due scuole di pensiero, che semplificherei così: quelli dell’innovazione radicale e quelli dell’innovazione incrementale».
«Come Ordine dell’Emilia-Romagna ci siamo collocati in questo secondo campo, condividendo (ma in buona compagnia) la necessità di riformare e innovare la nostra legge professionale che risale al ’63 pur mantenendo alcuni paletti. L’effetto della proposta approvata dalla maggioranza del Cnog, a prescindere da “radicali” e “incrementali” – prosegue il presidente dell’ODG Emilia-Romagna – sarebbe stato quello di avere l’estensione degli obblighi deontologici giornalistici a nuove figure, che non avrebbero i requisiti per iscriversi all’Albo in base all’interpretazione tradizionale dell’articolo 34».
Il punto, quindi, è più deontologia per tutti coloro che – a prescindere dal mezzo – fanno informazione: «Tutti vogliamo più deontologia, che in teoria equivarrebbe ad avere più informazione di qualità, il punto di discussione sta nel definire i criteri per l’accesso al professionismo. Vogliamo superare il concetto di testata registrata in Tribunale? Bene! Ma che almeno l’attività di informazione con cui si richiede l’accesso al praticantato avvenga in una testata, anche non registrata, o in un ambiente giornalistico», ha spiegato Ramunno.
L’ODG Emilia-Romagna ha inoltre suggerito di fissare un limite temporale di validità di validità per quella che dovrebbe essere una misura straordinaria dell’accesso al praticantato aspettando l’effettiva riforma della legge 69 del ’63 («Considerarla straordinaria e a tempo determinato potrebbe spingere il Parlamento ad affrontare il tema della riforma e gli editori a non archiviare definitivamente il contratto di praticantato, ormai quasi un miraggio… »).
«Fare dei post non è fare informazione, almeno non sempre»
Quale sarà, se passa la delibera, la distinzione tra chi fa giornalismo rispettando tutti i crismi della professione e chi scrive post sui social media? «Non bisogna mescolare gli aspetti. Oltre a dover documentare l’attività svolta – afferma Ramunno parlando delle nuove modalità di accesso così come disposte dalla delibera – per poter fare domanda di accesso sarebbe stato necessario anche dimostrare di aver percepito un reddito pari a quello del praticante per almeno sei mesi negli ultimi dodici mesi. Il punto di discrimine è questo: fare attività di informazione».
Siamo scesi nel pratico per capire la differenza, sui social, tra chi fa giornalismo e chi non fa giornalismo: «Fare dei post non è fare informazione, almeno non sempre. Fare informazione vuol dire fare un’attività di interesse pubblico, con la diffusione di notizie verificate. Fare dei meme sui trend del giorno per creare engagement, al fine di catturare l’attenzione, non è giornalismo. Fare divulgazione scientifica continuativa sui social, magari all’interno di un gruppo in cui ci sono giornalisti, o su pagine e siti di interesse giornalistico, può essere giornalismo».
«In presenza di queste condizioni (attività di informazione su una testata anche non registrata o in un ambiente giornalistico e reddito equivalente a quello del contratto da praticante), il consiglio regionale dell’ordine, e parlo dell’Emilia-Romagna, avrebbe valutato la richiesta», prosegue Ramunno, indicando che l’ODG Emilia-Romagna nell’ambito dei criteri per valutare la domanda ha fatto un passo ulteriore rispetto all’Ordine nazionale, che «non fissava criteri stringenti, lasciando ampia discrezionalità agli ordini regionali e questa è stata una delle criticità rilevate dal ministero di Giustizia».
Giornalismo e engagement non possono andare d’accordo
Entrando nello specifico dell’ecosistema informazione social, ci siamo domandati se quelli che vengono definiti “giornalisti influencer” dovranno cambiare qualcosa qualora avessero la responsabilità di formare nuove leve giornalistiche: «Per fare giornalismo bisogna mettere da parte, quantomeno in secondo piano, la ricerca dei numeri e dell’engagement ad ogni costo e mettere al primo posto l’interesse pubblico», puntualizza il presidente dell’ODG Emilia-Romagna. «Non dobbiamo parlare di un qualcosa solo perché se ne parla, ma parlarne perché è interesse pubblico farlo. Pur nella grande varietà dei progetti di informazione nati sui social, direi che questo è il limite principale che vedo – analizza Ramunno -. Con una battuta direi di non cadere nella trappola della Seo o di Google trend, scambiando il mezzo con il fine».
Il giornalismo deve seguire gli stessi principi sulla carta e su TikTok
Il presidente apre poi una valutazione di tipo più filosofico sull’essenza stessa del giornalismo: «Fin dove il giornalismo deve assecondare i nuovi trend senza snaturarsi? C’è informazione in 3 secondi, tra un tap e l’altro sullo smartphone? Il giornalismo viene prima del canale di diffusione: i principi del giornalismo devono essere gli stessi, per la carta o per Tik Tok. Se ci sono canali che snaturano il giornalismo, bisogna fermarsi e non inseguirli ad ogni costo solo perché ci sono numeri».
«Mi piacerebbe – afferma Ramunno, tratteggiando una possibile svolta – che progetti di informazione nati sui social e Ordine dei Giornalisti si avvicinassero sempre più con l’obiettivo di estendere l’ambito di applicazione della deontologia giornalistica e avviare un processo di rinnovamento dell’ordine».
In conclusione, giornalismo e influencing – per Ramunno – hanno differenze marcate: «Tutto questo non ha niente a che vedere con gli influencer, se per influencer intendiamo le star che fanno pubblicità con la loro immagine: quella è una attività che non ha niente a che fare con il giornalismo. Sui casi eclatanti delle webstar che non fanno giornalismo siamo tutti d’accordo ma bisogna stare lo stesso attenti ad aperture con maglie troppo larghe sia perché la formazione, nei master o nelle redazioni, è un elemento imprescindibile della professione, e non sempre la sola pratica può sostituirla, sia perché il giornalismo ha bisogno di un recupero reputazionale e di rafforzare la relazione di fiducia con il pubblico».