L’AI Act made in China: il regolamento cinese per addomesticare l’AI

Il governo, dopo mesi di intenzioni trapelate, ha approvato un regolamento per lo sviluppo dell'AI in Cina che entrerà in vigore dal 15 agosto

24/07/2023 di Ilaria Roncone

In contri in Usa ma anche in Cina. Alla regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale sta procedendo anche la Terra del Dragone e – ovviamente – lo sta facendo a modo suo. Sono stati mesi di tumulti anche in Cina, così come nel resto del mondo, tra le aziende che ambiscono al primato mondiale nello sviluppo dell’AI e il governo che, come ben noto, prova ad addomesticare qualsiasi aspetto dell’economia e della vita nel Paese. Se prima era internet, con la creazione di un vero e proprio ecosistema che rimane interno alla Cina ed esclude le Big Tech americane, ora parliamo della regolamentazione AI Cina.

LEGGI ANCHE >>> Non una legge ma un «impegno» formale: le azioni di Big Tech per regolamentare il settore AI

Il braccio di ferro tra governo cinese e aziende sull’AI

Dopo mesi di perplessità esternate – da un lato il governo di Xi Jinping, preoccupato per la sicurezza nazionale (non tanto per i diritti dei singoli cittadini) e dall’altro aziende del calibro di Alibaba -, la censura del governo cinese è arrivata sull’AI generativa. Lo scopo del governo è quello di limitare con forza lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale nel Paese con norme precise e stringenti. Una su tutte, è sufficiente considerate che ChatGPT non ha mai fatto il suo esordio nel Paese.

Se nei mesi scorsi si parlava solo dell’ipotesi di una stretta imminente, adesso si tratta di una solida realtà che ha preso vita dopo l’incontro del premier cinese con una decina di aziende del settore e la conseguente decisione da parte della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma di una serie di regole e progetti relativi all’innovazione digitale con particolare attenzione all’AI.

Le aziende cinesi stanno lavorando – come nel resto del mondo – ai loro prodotti AI e tra i più celebri ci sono Tongyi Qianwen di Alibaba (AI generativa con capacità simili a quelle di ChatGPT) e Ernie bot di Baidu – multinazionale specializzata anche nello sviluppo dell’intelligenza artificiale -, anche questa progettata come risposta al ChatGPT degli Stati Uniti che non è mai arrivato in Cina.

Daniel Zhang, presidente esecutivo di Alibaba, ha affermato che questo è un «momento spartiacque segnato dall’intelligenza artificiale generativa e dal cloud computing» e che «tra dieci o vent’anni, quando ci guarderemo indietro, ci renderemo conto che eravamo tutti sulla stessa linea di partenza. Cogliere queste opportunità future è un desiderio comune e richiede una visione condivisa».

La regolamentazione AI Cina prevede che «abbracci i valori socialisti»

Una bozza della legge cinese sull’AI era già trapelata negli scorsi mesi con riferimento ai valori socialisti da rispettare e al fatto che lo sviluppo della tecnologia non debba sovvertire i poteri dello Stato, non debba incitare alla divisione del Paese e non debba minare l’unità nazionale.

Sin da subito il testo è parso stringente, più attento ad addomesticare l’AI secondo i voleri del governo cinese che a proteggere gli utenti dai rischi dell’AI (dalla disinformazione ai suggerimenti per commettere reati). Alla fine dei conti, però, il regolamento approvato è stato definito più morbido rispetto alle aspettative. Alle versioni cinesi di ChatGPT sembra quindi spettare una libertà maggiore rispetto a quella che era stata preventivata precedentemente.

Ma cosa vuol dire che l’AI è chiamato a rispettare valori socialisti? Le aziende private sono invitate a orientare i loro sforzi e i loro investimenti in quelli che sono i settori chiave per il raggiungimento degli obiettivo politico-tecnologici del partito che governa la Cina. Alle agenzie governative competenti rispetto al regolamento – quelle che lo hanno anche emesso, ovvero la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma e il ministero della Scienza e della tecnologia – spetta l’autorità di «supervisionare e ispezionare i servizi di intelligenza artificiale generativa in base alle loro responsabilità». Cosa vuol dire questo? Che i fornitori dovranno cooperare e rendere conto rispetto alle fonti dei dati, alle regole di labeling e al funzionamento degli algoritmi. I produttori di chip, modelli di software e di intelligenza artificiale – inoltre – sono anche invitati a definire una serie di standard internazionali per gli scambi tecnologici.

Ci sono però una serie di organizzazioni che non devono preoccuparsi del regolamento poiché ad esso non sono soggette (una specifica che nella bozza trapelata a luglio non era presente): «Le organizzazioni industriali, le imprese, le istituzioni educative e di ricerca scientifica, le istituzioni culturali pubbliche, le istituzioni professionali pertinenti, ecc. che sviluppano e applicano tecnologie di intelligenza artificiale generativa senza fornire servizi di intelligenza artificiale generativa al pubblico nazionale non sono soggette alle disposizioni delle presenti misure».

A far notare cosa significa questo sono stati i giornalisti Jia Yuxuan e Wang Zicheng, che hanno sottolineato – come riporta anche Wired – come le misure di regolamentazione si applicheranno solo ai servizi forniti al pubblico e non a quelli che al pubblico non si rivolgono. Questa precisazione punta a equilibrare il controllo dell’utilizzo dell’AI (considerato anche che, finora, nessuno strumento è stato reso disponibile al pubblico in Cina) e la necessità di far progredire la ricerca nell’ambito.

Tutte le regole – tra cui troviamo l’obbligo per i fornitori di piattaforme di fare una revisione di sicurezza e di registrare i servizi presso il governo cinese – entreranno in vigore il 15 agosto 2023.

Share this article