I CD si vendono ancora oggi, ma le classifiche musicali ormai sono determinate dallo streaming

L'ultimo dato risale sulla vendita dei CD in Italia: ma in due anni è cambiato tutto e lo streaming sta monopolizzando l'andamento del mercato

02/03/2023 di Gianmichele Laino

È stato impressionante, forse imprevedibile anche per gli addetti ai lavori, vedere la curva della vendita dei CD impennarsi all’improvviso, tra il 2020 e il 2021. Sono stati 15 milioni i dischi in più venduti nel 2021, a livello internazionale. Effetto di quel periodo storico delle nostre vite – la pandemia – in cui abbiamo davvero riscoperto vecchie abitudini. Il ritorno del vintage – degli anni Ottanta e Novanta in particolare – è stata una sorta di risposta a quella contemporaneità così insolita che stavamo vivendo, tra lockdown e esasperazione delle piattaforme digitali, un rifugiarsi nel si stava meglio quando si stava peggio. Ma la crescita non è stato un fenomeno isolato. Anche negli anni successivi, infatti, la tendenza è stata in crescita. In Italia, nel 2022, sono stati venduti il 10% di CD in più rispetto agli anni precedenti. E – si badi bene – si tratta di una vendita scorporata rispetto a quella dell’intero comparto dei supporti rigidi (si pensi, ad esempio, ai vinili).

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Quanti CD si vendono e come impattano sul settore musicale

Perché il CD non muore? Facciamo alcune considerazioni. Innanzitutto, sembra evidente che – oggi come oggi – il supporto penalizza la vendita dei dischi. Il fatto di aver bisogno di un lettore (che ormai nessun pc portatile ha più di serie), il fatto di doversi portare dietro un sostegno piuttosto pesante (come il lettore portatile) per poter fruire della musica anche in movimento, sono tutti fattori che giocano a sfavore dell’usabilità del CD. Ammesso che oggi si possa considerare il CD come un oggetto d’uso.

Il supporto, infatti, è sempre più considerato come un oggetto da collezione. Un CD si acquista non perché si deve ascoltare, né perché ci sia una particolare differenza nell’ascoltare una canzone in questo modo o su una piattaforma di streaming. Un CD si acquista per mettere un punto sulla linea del tempo delle nostre vite. Così, dopo un concerto (dal 2021, si è tornati a fatica a riempire stadi e palazzetti dello sport), diventa importante acquistare un CD del live per ricordarsi – anche fisicamente – della serata trascorsa. Un CD aiuta a fissare l’eventizzazione di un fatto.

Un settore che cresce, in fondo, ma che attira a fatica investimenti pubblicitari. Diciamo che, per un artista, il CD aiuta l’awareness, aiuta la sua scalata nell’Olimpo dei più grandi, gli fa capire di essere entrato in un’altra dimensione. E questo viene percepito anche dal suo pubblico. Ma il vero business, oggi, resta confinato allo streaming: è la riproduzione online o sulle piattaforme che permettono il download a pagamento dei brani il vero core-business dell’universo musicale.

Lo streaming cambia tutti i criteri

I ricavi dallo streaming sono oltre il 62% del totale in Italia (secondo le ultime rilevazioni della federazione dell’industria musicale italiana), mentre quelli che arrivano dai supporti fisici sono soltanto il 16,5%. Un brano che funziona su Spotify – o che diventa anche il trend più seguito su TikTok o su Instagram per i contenuti dei creators – vale molto di più, dal punto di vista dei ricavi, di un brano stilisticamente perfetto, che è pensato per una fruizione più pensata, “da meditazione”, che si possa concretizzare anche sul divano di casa, nel vecchio impianto hi-fi con lettore CD e casse.

Si pensi, ad esempio, che una delle più famose classifiche musicali – la Billboard Hot 100 – che ha già dovuto tener conto del numero di visualizzazioni dei video ufficiali su YouTube per stabilire la graduatoria artistica, ha recentemente ripensato la sua valutazione, inserendo – in più – anche il numero di condivisione dei brani sulle piattaforme social da parte degli utenti. Dal 2015, in Italia, per assegnare Disco d’Oro e Disco di Platino (che in passato si attribuivano a chi vendeva rispettivamente 25mila e 50mila dischi), si tiene conto anche delle performance del brano su Spotify e sulle altre piattaforme di streaming. Anche chi non è inserito nei circuiti delle case discografiche mainstream, dunque, ha potuto avere accesso a prestigiosi riconoscimenti. Perché – vale anche nella musica – l’ecosistema digitale è molto più trasversale e si riesce a conquistare anche senza campagne mirate.

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