Perché i media non dovrebbero mostrare le immagini dei militari arrestati o che si sono arresi

Lo dice la Terza Convenzione di Ginevra, troppo spesso dimenticata da chi opera nel settore dell'informazione

20/03/2022 di Enzo Boldi

Ci sono video che hanno fatto il giro del mondo. Foto e filmati provenienti dall’Ucraina che mostrano immagini di militari arrestati, arresi, che vengono rifocillati e che chiamano in lacrime le proprie madri per raccontare l’altro aspetto della guerra. Quello in cui giovanissimi sono stati mandati verso un fronte e sono finiti nelle mani di chi difende il proprio Paese dall’invasione. Testimonianza che raccontano una storia parallela e che creano, inevitabilmente, grande empatia. Ma ci sono norme internazionali che impediscono (o dovrebbero) ai media di condividerle. Per una serie di delicati motivi.

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Le abbiamo viste sulle prime pagine di moltissimi quotidiani nazionali e internazionali. Nelle homepage e negli articolo di siti di informazione. Ma quelle immagini non dovrebbero esser fatte circolare. Lo dice la Terza Convenzione di Ginevra, il documento che indica tutti i paletti attorno al trattamento umanitario dei combattenti che cadono nella mani del “nemico”. Questo discorso, rimanendo alla strettissima attualità, vale sia per l’Ucraina che per la Russia. E, inoltre, vale anche per tutti gli altri conflitti che si stanno svolgendo in tutto il mondo, ma la cui Eco mediatica o si è spenta o non si è mai accesa. Anche per “colpa” della prossimità geografica che, però, non dovrebbe essere una giustificazione.

Immagini militari arrestati, perché non vanno diffuse

Ma torniamo al tema delle immagini militari arrestati o arresi. Perché i media non devono pubblicarle? La risposta è scritta all’interno dell’articolo 13 della Terza Convenzione di Ginevra che recita così:

«I prigionieri di guerra devono essere trattati sempre con umanità. Ogni atto od omis­sione illecita da parte della Potenza detentrice che provochi la morte o metta grave­mente in pericolo la salute di un prigioniero di guerra in suo potere è proibito e sarà considerato come una infrazione grave della presente Convenzione. In particolare, nessun prigioniero di guerra potrà essere sottoposto ad una mutilazione corporale o ad un esperimento medico o scientifico di qualsiasi natura, che non sia giustificato dalla cura medica del prigioniero interessato e che non sia nel suo interesse.
I prigionieri di guerra devono parimenti essere protetti in ogni tempo specialmente contro gli atti di violenza e d’intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità».

In particolare, ci concentriamo sull’ultima frase: i prigionieri di guerra – di cui fanno parte anche i militari che sono stati arrestati o si sono arresi nelle mani dell’esercito “nemico” – devono essere protetti anche dalla “pubblica curiosità”. I motivi sono molti. Il primo, ovviamente, è alla tutela della persona: un militare è considerato un servitore del proprio Stato che esegue gli ordini (e non si fa mai riferimento alla sua libera scelta). Il secondo è quello ancor più delicato: diffondere le immagini di soldati che si sono arresti potrebbe comprometterli quando torneranno in patria. Potrebbero essere accusati di diserzione e non solo. Per questi motivi, come indicato nella Terza Convenzione di Ginevra, i loro volti non dovrebbero essere mostrati.

(foto IPP/zumapress/Tsz Yuk/SOPA)

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