«A proposito della disinformazione, i dilemmi che abbiamo resteranno anche con Artifact»

L'intervista a Paula Gori, Segretario Generale e coordinatrice di EDMO. Si tratta del punto di vista di chi, dall'osservatorio indipendente che mette insieme i fact-checkers europei, combatte quotidianamente contro la disinformazione, in maniera analitica

09/02/2023 di Gianmichele Laino

C’è un obiettivo che è stato dichiarato a più riprese, nelle interviste rilasciate, dai fondatori di Artifact, ovvero Kevin Systrom e Mike Krieger: combattere, attraverso questa piattaforma, la disinformazione. Il mezzo è quello della condivisione di notizie provenienti solo da fonti qualificate. Tuttavia, ci sono degli aspetti che, da questo punto di vista, vanno ancora presi in considerazione. Per questo motivo, abbiamo chiesto l’opinione di Paula Gori, Segretario Generale e coordinatrice di EDMO, l’osservatorio indipendente che unisce fact-checkers e ricercatori che hanno esperienza nell’ambito della disinformazione online. Il punto di vista di un organismo europeo che monitora il panorama delle fake news è infatti fondamentale per collocare nella giusta casella il ruolo e l’attendibilità che potrà avere, a pieno regime, una piattaforma come Artifact.

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Paula Gori, segretario generale di EDMO, espone il suo punto di vista su Artifact

«Artifact – dice Paula Gori a Giornalettismo – usa l’intelligenza artificiale per fare da aggregatore di notizie. La cosa si capisce già dal nome e mi sembra una scelta sensata, perché così l’utente sa già dall’inizio cosa aspettarsi da questa modalità per l’aggregazione delle notizie. Si torna al testo, che è una cosa un po’ nuova: siamo abituati ad avere social media che si basano più sul visivo, sulle immagini o sui video. Da quello che si capisce, Artifact ha come idea quello di fare da aggregatore di notizie che possano essere appetibili per l’utente: dopo un certo numero di notizie fruite, entrerà in gioco pienamente l’intelligenza artificiale che proporrà argomenti più simili alle posizioni o agli interessi del lettore, prendendo anche in considerazione il tempo di lettura».

Al di là del meccanismo di funzionamento della piattaforma, è importante capire quali saranno le fonti che verranno sottoposte all’attenzione dell’utente, per capire se queste siano effettivamente attendibili. I fondatori di Artifact hanno assicurato il pluralismo delle fonti di informazione. Tuttavia, anche i media tradizionali non sono esenti da diffusione di fake news. Dunque, la questione dirimente non dovrebbe essere quella di assicurare una trasversale copertura rispetto alle opinioni, ma il giusto discrimine tra fatto e opinione. «Quello che può lasciare qualche domanda aperta rispetto alla disinformazione è capire su quale base e con quale criterio verranno scelte le notizie – dice Paula Gori -. Probabilmente, si prenderanno in considerazione le notizie che vengono definite trustworthy, ma sarebbe interessante capire quali sono i principi che devono essere presi in considerazione dai media outlet che entreranno a far parte dell’ecosistema di Artifact e perché saranno scelte alcune fonti di informazione e non altre. Lo dico perché è importante per due motivi: garantire il pluralismo dei media e fare in modo che non siano prese in considerazione, invece, quelle fake news che vengono veicolate anche attraverso i media tradizionali. Cosa che, purtroppo, accade di frequente».

Un sistema così concepito cambierà qualcosa nel mondo della disinformazione? Il fatto di aver dato per scontato che i social network siano stati veicoli importanti per la diffusione di fake news e il fatto di aver, invece, costruito un social network che nasce proprio con l’obiettivo di abbattere le fake news può bastare per arrivare a una svolta? Il segretario generale di EDMO ha qualche riserva in merito: «Dal punto di vista del dibattito sulla disinformazione, niente cambia. I dilemmi che abbiamo restano anche su Artifact: o c’è una collaborazione con fact-checkers che possono segnalare all’app un contenuto non propriamente attendibile, oppure si rischia di non essere di particolare soluzione rispetto alla disinformazione. Io ho letto i termini e condizioni d’utilizzo di Artifact e loro, giustamente, si ritengono non responsabili di qualsiasi contenuto falso che viene condiviso dagli utenti. Ma se dichiarano che non si può diffondere falsehood, bisogna capire attraverso quale policy impediranno questa cosa».

Il tema dei commenti su Artifact: favoriranno la crescita della disinformazione?

Anche perché c’è un altro binario che procede in direzione del rischio. L’elemento social di Artifact è rafforzato anche dalla possibilità di commentare le notizie. Non è ancora chiaro – e nemmeno la versione beta lo mostra ancora con evidenza – se i commenti saranno anche pubblici o se avverranno soltanto attraverso l’invio di un messaggio diretto agli amici più stretti. I commenti sono sempre stati un veicolo di informazione non corretta, semplicemente perché prodotti da utenti generici che, tuttavia, per il meccanismo di funzionamento dei social network, hanno la stessa potenziale visibilità (e – forse – un peso maggiore, a seconda della loro influenza) rispetto ai professionisti dell’informazione. Anche questo va preso in considerazione quando si analizza, in questa fase preliminare, Artifact: «C’è un altro tema. Quello dei commenti alle notizie – spiega Paula Gori -. Il commento può diventare facilmente un veicolo per diffondere disinformazione. Occorrerà capire bene se i commenti saranno resi pubblici o se si condivideranno solo in direct message. Bisogna ricordare, però, che anche nel secondo caso, ovvero con commenti non accessibili a tutto il pubblico, si rischia l’effetto delle echo chambers, rinforzando la polarizzazione della società. Non è un caso che durante le elezioni in Brasile di qualche anno fa, molta disinformazione era veicolata attraverso WhatsApp, in chat in cui quest’ultima si autoalimenta. Anche un sistema di commento in DM, insomma, non aiuta molto a combattere la disinformazione».

Il ruolo di EDMO e il confronto con Artifact

Secondo Paula Gori, dunque, una possibile soluzione potrebbe essere quella di affidarsi alla moderazione di fact-checkers indipendenti, adiuvati nel loro compito dalle segnalazioni dell’intelligenza artificiale. C’è sempre un potenziale limite sulla loro ingerenza all’interno dei commenti (soprattutto se questi verranno condivisi soltanto in DM), ma occorre valutare il ruolo che avranno nella piattaforma: «Il modello dei fact-checkers indipendenti funziona se inserito in un contesto più ampio: non si combatte la disinformazione solo con il fact-checking, ma attraverso le policies di trasparenza e di accountability delle piattaforme e attraverso un forte modelli di Media and information literacy. È questo lo scopo di EDMO: fare in modo che i vari attori coinvolti siano uniti in un insieme. Il fact-checking sarà d’aiuto per qualsiasi altra applicazione che si occupa di informazione. Di Artifact c’è da capire se punterà a essere una app per professionisti e restare solo nell’ambito di aggregazione di news per chi ha già un know-how specifico, oppure se punta ad avere un impatto significativo anche nel cittadino medio. In ogni caso, il fact-checking funziona se attivato immediatamente: Artifact si basa sull’intelligenza artificiale e, dunque, sulla base dell’esperienza può intuire molto rapidamente, almeno in potenza, quando una notizia è credibile e quando, invece, va allertato un fact-checker».

In ogni caso, EDMO è aperto a un confronto e a un dialogo con questo nuovo potenziale interlocutore: «Noi, come prima cosa, cercheremo di avere un dialogo con loro, esattamente come ce lo abbiamo con tutti gli stakeholders – conclude Paula Gori -. In base, poi, all’utenza, anche la Commissione Europea avvierà delle discussioni sulla piattaforma. Però, al momento siamo ancora in una fase molto preliminare e possiamo soltanto capire come l’app funziona e stimolare la discussione tra le diverse parti in gioco. Esattamente come facciamo con gli altri».

FOTO DALL’ACCOUNT TWITTER UFFICIALE DI EDMO

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