Tutti i parallelismi tra l’assalto a Capitol Hill e l’assalto ai palazzi del potere in Brasile

C'è moltissimo in comune tra l'assalto a Capitol Hill e l'assalto alle istituzioni brasiliane, dall'uso dei social per organizzarsi alla reazione dei presidenti sostenuti dai rivoltosi

10/01/2023 di Redazione

Era inevitabile: vedere le immagini dell’assalto alla sede del Parlamento, alla sede della Corte Suprema e al Palazzo Presidenziale a Brasilia ha riportato alla mente di tutti noi quelle dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. I parallelismi ci sono e sono anche tanti: l’elezione di un neo presidente il cui risultato non viene riconosciuto dal presidente uscente che – negli anni – ha coltivato sui social network e sfruttando ogni espediente fornito dalla rete un rapporto con proseliti molto fedeli e accaniti che pendono dalle sue labbra; ci sono le teorie complottistiche sulle elezioni rubate e i gruppi che, sfruttando soprattutto piattaforme di messaggistica che moderano in maniera più leggera, continuano a girare e ad alimentare la convinzione che ci siano stati brogli; ci sono le reazioni simili di Trump per Capitol Hill e Bolsonaro per il Brasile, che troppo timidamente condannano quanto accaduto e – parallelamente – incitano i proseliti. Con una differenza: la moderazione di Twitter pre Musk e quella post Musk. Scendiamo in profondità, dunque, con il resoconto di quelli che sono i parallelismi e un paragone Capitol Hill Brasile.

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Il paragone Capitol Hill Brasile: cosa è successo in Brasile e cosa c’è di simile agli Usa

Ci sono tanti, troppi punti in comune che è impossibile non tenere ben presenti analizzando quanto accade in Brasile l’8 gennaio 2023. C’è stata l’elezione di un leader, Lula, che è stata confermata dalla Corte elettorale il 22 novembre per poi essere apertamente contestata, il 12 dicembre scorso, dallo sconfitto Jair Bolsonaro così come era successo nel passaggio di potere tra Biden e Trump. Cosa è successo in Brasile? Un’area che avrebbe dovuto essere isolata dalle autorità è stata violata dai sostenitori di Bolsonaro, che hanno sfondato i cordoni di sicurezza e sono entrati nel palazzo presidenziale di Planalto, della Corte Suprema e del Congresso riuscendo a vandalizzarne gli uffici esattamente come accadde per Capitol Hill.

Lula – che non si trovata a Brasilia – ha parlato di «fanatici, vandali e fascisti» contro le istituzioni democratiche, «terroristi» che si stanno individuando per prendere provvedimenti. In questo caso c’è una posizione poco chiara delle forze dell’ordine e dei militari, sospesa tra l’incompetenza  o – peggio – la precisa intenzione di aiutare i rivoltosi (Lula non ha esitato a parlare di «incompetenza, malafede o connivenza»). C’è poi, oltre al ruolo dei militari, anche quello dei finanziatori da comprendere, con molti mandati di arresto già emessi per grandi proprietari terrieri e componenti di gruppi imprenditoriali che avrebbero contribuito a pagare per tutti quei pullman che hanno portato i sostenitori di Bolsonaro da tutto il paese alla capitale.

Cosa ha fatto Bolsonaro in tutto questo? Dalla Florida, ha condannato in maniera decisamente tiepida e blanda l’azione dei suoi sostenitori; su Twitter ha scritto: «Le manifestazioni pacifiche, secondo la legge, fanno parte della democrazia. I saccheggi e le irruzioni di edifici pubblici come quelli di oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono illegali», aggiungendo «ripudio le accuse, senza prove, attribuitemi dall’attuale capo dell’esecutivo del Brasile». Una reazione che, come quella di Trump nel 2023, risulta essere fin troppo moderata per quello che effettivamente è accaduto, per il ruolo che ha avuto nell’incitamento dei suoi sostenitori e nell’alludere ai brogli.

Le indagini che sono seguire ai fatti di Capitol Hill hanno messo in evidenza le responsabilità di Donald Trump e dei suoi collaboratori: la Commissione parlamentare e la giustizia hanno poi condannato un migliaio di golpisti, tutte quelle persone che – all’epoca – avevano sfruttato i social per organizzarsi rispondendo all’incitamento di estremisti militanti (QAnon, Oath Keepers, Proud Boys).

Estremisti che incitano alla rivolta su ogni piattaforma social che lo consente

Dopo essersi organizzati sui social – in particolar modo tramite Whatsapp e Telegram – sfruttando, di fatti, i buchi nel monitoraggio e nella moderazione delle piattaforme (che sembrano non aver imparato abbastanza dai fatti di Capitol Hill), i bolsonaristi sono arrivati in massa a Brasilia risultando devastanti quanto i trumpiani all’epoca: tra cronisti feriti e derubati delle telecamere, edifici vandalizzati e razziati, il tutto è stato documentato con selfie sorridenti e video delle devastazioni.

Il parallelismo più evidente di tutti, al di là dei fatti e dell’uso che è stato fatto della tecnologia per favorire l’organizzazione degli assalti, è quello relativo all’incapacità di un ex presidente di accettare la mancata rielezione con tutte le conseguenze che comporta. I palazzi delle istituzioni, simbolo della democrazia, sono stati in entrambi i casi violati e abbattuti come a voler sovrastare con l’uso della forza un risultato elettorale certificato.

L’alternanza tra partiti di destra, di sinistra, centristi o populisti – alla fine dei conti – si basa sull’ammissione della sconfitta e sul rispetto della democrazia intesa come decisione del popolo tramite elezioni. L’assalto a Capitol Hill e l’assalto alle istituzioni brasiliane rappresentano la mancanza di tutto questo.

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