Paolo Attivissimo e l’addio a Internet Explorer

Le parole del giornalista, divulgatore e debunker a Giornalettismo sulla dismissione del browser internet che ha fatto la storia

16/02/2023 di Gianmichele Laino

Quando si viaggia attraverso le epoche di internet – e quando le si vive tutte – non può assolutamente passare sotto silenzio l’addio a Internet Explorer, che era stato ampiamente annunciato, ma che si è concretizzato negli ultimi giorni. Paolo Attivissimo, che quelle epoche le ha attraversate, le ha commentate e le ha approfondite, rappresenta sicuramente una voce autorevole per celebrare il commiato da uno dei browser che, nel bene e nel male, hanno fatto la storia della navigazione in rete. E che ci hanno fatto capire da vicino – quando, a metà degli anni Novanta, il 94% degli utenti lo utilizzava per navigare – cosa sarebbe stato internet se avessero preso piede i servizi monopolistici. Una sorta di preview rispetto a quello che, ancora oggi, abbiamo modo di osservare in molte aziende Big Tech.

«Sicuramente osserviamo qualcosa di simile, oggi, per Meta con il numero immenso di utenti che ha con Facebook, Instagram e WhatsApp vincolati a una piattaforma non interoperabile – ha spiegato a Giornalettismo Paolo Attivissimo, giornalista, divulgatore e debunker esperto di digitale -. Questo crea una posizione di dominio. Aggiungiamoci anche le posizioni di organizzazioni e aziende come Google e Amazon che hanno un sostanziale monopolio nel settore della ricerca online – nel caso di Google – e una posizione fortissima nella fornitura di servizi di connettività e di storage per le aziende – nel caso di Amazon e del suo AWS».

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Paolo Attivissimo e l’addio a Internet Explorer

«Negli anni Novanta – continua Attivissimo – ci fu, negli Stati Uniti, un famoso processo antitrust che evidenziava il tentativo di Microsoft di integrare il browser all’interno di Windows. Questo gli avrebbe dato una posizione dominante sul mercato. Da quel momento, le fortune di Internet Explorer sono andate progressivamente calando. Sono arrivati i browser alternativi, i browser più conformi agli standard e c’è stata una discreta ribellione di una buona fetta di utenti che non erano molto contenti di dover cambiare browser per vedere i cosiddetti siti “ottimizzati per Internet Explorer”. Ci si è resi conto che la posizione di Microsoft con servizi come ActiveX o Internet Explorer così strettamente legati all’interno del sistema operativo rischiava di inquinare il mercato».

Capire perché Microsoft abbia deciso, a un certo punto, di non investire più sul progetto di Internet Explorer, buttandosi – al contrario – in un’altra impresa come quella di proporre ai suoi utenti il più aggiornato Edge non deve essere particolarmente complesso. Come browser Internet Explorer non era affatto esente da problemi e alcune sue vulnerabilità informatiche avevano addirittura messo a rischio la sicurezza della navigazione dei suoi utenti, soprattutto quando Explorer era, di fatto, l’unico browser utilizzato. «Tutti i browser hanno avuto e hanno periodicamente delle falle di sicurezza – continua Attivissimo -. Ma queste, in alcuni casi, sono mitigate dal fatto che il browser è semplicemente una applicazione che lavora sotto al sistema operativo. Nel caso delle versioni intermedie di Internet Explorer, negli anni Novanta, c’era il problema che una sua vulnerabilità diventava una vulnerabilità del sistema operativo. Era molto più grave, dunque, quando c’era una vulnerabilità in Internet Explorer. Aggiungiamoci anche che i comandi ActiveX, che erano sostanzialmente una esclusiva di Microsoft IE, molto spesso si rilevavano troppo potenti e davano troppe possibilità a un malintenzionato di agire sul computer di chi visitava un sito».

Occorrerà capire, ora, se questa mossa avrà anticipato – in qualche modo – l’evoluzione dei browser e se quest’ultima procederà (come sembra suggerire anche l’importante investimento fatto da Microsoft su OpenAI per il suo motore di ricerca Bing ma, probabilmente, anche per Edge stesso) proprio verso l’intelligenza artificiale. «È presto per dire che l’intelligenza artificiale, almeno a livello di ChatGPT, sarà il futuro – conclude Paolo Attivissimo -. È sicuramente la parola magica del futuro. Ma che sia utile per gli utenti è ancora tutto da verificare. Se l’utente non è cosciente delle limitazioni di questa intelligenza artificiale, rischia di trovarsi con un browser che gli fornisce la risposta sbagliata. L’AI, nel caso di ChatGPT in particolare, è semplicemente una auto-correzione molto sofisticata e questo significa che ci dice quello che vogliamo sentirci dire, non quello che dovremmo sapere. Nei motori di ricerca integrati nei browser che sfruttano l’intelligenza artificiale di ChatGPT, a volte, i risultati sono completamente inventati, anche se sono estremamente credibili. È un po’ quando si andava a scuola, non si era studiato bene e, quindi, si improvvisava con buona dialettica la risposta da dare al docente: a volte andava bene, a volte andava male. Non sapere di questo dietro le quinte, può portare l’utente a usare l’AI molto male. Viceversa, può aiutare i tempi di ricerca di un utente informato che conosce limiti e vantaggi di questo sistema»

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