Perché la moderazione della transfobia su Facebook non sta funzionando

Intervistando Melissa Ingle, ex dipendente di Twitter, su moderazione e licenziamenti abbiamo ottenuto una valanga di comenti transfobici segnalati a Facebook che, secondo la piattaforma, non violano le linee guida

25/11/2022 di Ilaria Roncone

Di recente abbiamo intervistato Melissa Ingle, ex dipendente Twitter del team di moderazione licenziata da Elon Musk. Il fulcro delle due interviste video che abbiamo condotto – pubblicando poi gli articoli annessi su Facebook – erano la moderazione su Twitter finora e la moderazione su Twitter con Musk e la procedura automatizzata e disumanizzante con la quale migliaia di persone sono state lasciate a casa. Nei commenti di questi articoli su Facebook hanno iniziato a comparire parole e insulti di utenti che hanno scelto di parlare di qualcosa che nulla ha a che vedere con i contenuti che abbiamo proposto o dei quali abbiamo parlato con l’intervistata: la sua identità di genere. Tra i moltissimi «Melisso», le domande rispetto al fatto che fosse un uomo o una donna e gli insulti veri e propri, sono veramente troppi i commenti relativi a una tematica che con il contenuto proposto non aveva niente a che vedere. Ci siamo quindi visti costretti a fare appello alla moderazione transfobia su Facebook.

Nella Giornata contro la violenza sulle donne ci sono arrivati i responsi di due delle svariate segnalazioni – considerando che, tutt’ora, dobbiamo continuare a segnalare commenti violenti sotto quegli stessi articoli. Il responso di Facebook per commenti di utenti che hanno nomi come “Penso Libero” è: «Abbiamo esaminato il commento che hai segnalato e stabilito che rispetta i nostri Standard della community. Per questo motivo non lo abbiamo rimosso». Parlando poi di un’«analisi all’insegna della massima correttezza, Facebook ci invita a nascondere i commenti che non ci piacciono.

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Moderazione transfobia Facebook: perché non funziona

I commenti che abbiamo segnalato utilizzavano tutti un linguaggio violento e palesemente atto a non riconoscere la libertà di autodeterminarsi di Melissa Ingle. Vediamo qualche esempio della tipologia di intervento che utenti accecati dall’odio per le persone trangender hanno scelto di lasciare sotto articoli e contenuti video che con l’identità di genere della persona intervistata non avevano assolutamente nulla a che fare.

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La stragrande maggioranza di questi commenti – volendo cercarli – non sono più visibili perché abbiamo scelto di nasconderli. Frasi volgari, incitamento all’odio e alla stigmatizzazione delle persone transessuali in un contesto in cui alla transessualità non si è fatto il minimo riferimento. Un livello di odio alto, quindi, che spinge chi sta dietro la tastiera a commentare solo per insultare questa persona e a prescindere da quello che ha fatto o subito, da quello che dice.

Ancora: «Molto meglio senza questi ibridi personaggi schierati palesemente» o «Vedebdo chi erano i moderatori mi spiego tante cose. GRANDE ELON MUSK!». Questi sono commenti che, pur non presentando parole effettivamente volgari e offensive, contribuiscono a rafforzare pubblicamente lo stigma che continua a rimanere forte nei confronti delle donne e delle persone trangender.

Le ragioni dietro la scelta di scagliarsi contro Melissa – che di transessualità o della sua persona esperienza non parla in alcun modo – sono frutto di odio puro e semplice. Non c’è nessun intento di partecipare alla discussione su licenziamenti e moderazione su Twitter, solo quello di odiare qualcuno in maniera del tutto gratuita rendendolo vittima di bullismo e parole denigratorie per via della sua immagine. E questo, secondo Facebook, «rispetta gli Standard della community».

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