Il malinteso su cosa significhi realmente “navigazione in incognito”

La questione è nata proprio dal significato tecnico che ne dava Google e quello popolare percepito dagli utenti

02/04/2024 di Enzo Boldi

Il problema è “linguistico”: pensare che la modalità incognito su Google Chrome (ma anche su altri browser) aumenti la tutela della privacy utente durante una navigazione in internet è un falso storico. Una percezione semantica errata che ha provocato grandissima confusione, sfociata in quella class action contro il colosso di Mountain View che, nelle ultime ore, si è conclusa con un patteggiamento e con una serie di promesse (alcune già diventate realtà) da parte dell’azienda Big Tech. Tutto, infatti, è partito dalle aspettative dei singoli utenti rispetto al significato di “incognito” rispetto alla definizione utilizzata e rivendicata dalla stessa multinazionale americana.

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Partiamo dalla fine: da quando è scoppiata la bolla – con la class action che risale al 2020 e va a coprire un lasso di tempo che termina nel 2016 -, ci sono state molte variazioni (anche a livello di comunicazione e trasparenza) da parte di Google per quel che riguarda la sua modalità privata (nel caso specifico, “modalità incognito“). In particolare, oggi accedendo a questa funzione, viene esplicitamente spiegato cosa avviene quando un utente decide di abbandonare la navigazione tradizionale (sul browser) per passare a quella in incognito.

Modalità incognito Chrome

Oggi, dunque, viene esplicitamente indicato che il browser non salva la cronologia di navigazione sul dispositivo, così come i cookie e i dati dei siti, fino ad arrivare alle informazioni inserite nei moduli. Però, le attività di navigazione – nonostante la modalità in incognito – possono essere visibili ai siti web visitati e, soprattutto, al provider dei servizi internet utilizzato dall’utente.

Modalità incognito, il malinteso sul significato

Un tempo, però, tutte queste fattispecie non erano spiegate in modo così esplicito. Da qui il malinteso: gli utenti (o, almeno, molti di loro) potevano credere che utilizzando una modalità privata nella loro navigazione attraverso il browser di Google, le loro attività non potessero essere tracciate. Invece, attraverso cookie e tracker, i dati di navigazione venivano tracciati da terze parti. E la stessa Google, come conferma la decisione (al centro dell’accordo di patteggiamento) di cancellare i dati utenti raccolti dal 2016 al 2020, faceva lo stesso.

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