«Performer? Sono un docente che ama cazzeggiare»: un viaggio nel mondo di Michele Lettera
Avrete ascoltato sicuramente la sua voce in qualche spot o documentario. Sui social ha creato un personaggio che rappresenta la parte "leggera" di se stesso
23/04/2024 di Enzo Boldi
Ci sono una persona con una voce iconica, un doppiatore, uno speaker, un docente di dizione, un amante della cucina e un personaggio social. Non è l’inizio di una barzelletta, ma sono le sei facce dello stesso dado. Un dado che racchiude l’essere Michele Lettera, uno dei performer italiani più apprezzati nell’ecosistema dei social network. Da YouTube a Instagram, passando per TikTok e Facebook. Il 36enne nato a Caserta è l’emblema di come un’arte – come il saper utilizzare la voce e le parole – possa essere trasferita anche sulle varie piattaforme attraverso contenuti misti in cui convivono didattica e intrattenimento. Anzi, come dice lui stesso, “cazzeggio”.
LEGGI ANCHE > Professione performer (sui social)
La sua voce è riconoscibile e l’avrete sicuramente ascolta durante qualche spot pubblicitario o in qualche documentario (la sua passione fin da piccolo, quando guardava Piero Angela e Superquark). Il suo volto, invece, è noto soprattutto al pubblico dei social che lo hanno imparato a conoscere per la sua vena ironica, con rubriche che possono rientrare in quel “castigat ridendo mores” molto caro agli antichi romani. Commenta e prende in giro gli “orrori” culinari che altri utenti – anche molto noti – condividono sui social. E lo fa con uno stile tutto suo e con quel potere della voce che lo caratterizza anche professionalmente. Per questo motivo, secondo Giornalettismo, è l’emblema dei performer sui social, anche se lui non è pienamente d’accordo con questa definizione: «Sinceramente, non mi ci vedo in una delle categorie, perché io di base sono un doppiatore, un docente che ama anche cazzeggiare. Insomma, divertirsi. Poi non so in quale categoria dovrei rientrare, però se dovessi dare una definizione meno tecnica, direi questa».
Michele Lettera, dal doppiaggio alla nascita di “Robbertino”
Michele Lettera ha portato sui social un personaggio iconico, chiamato “Robbertino”. Proprio lui, inforcando gli occhiali, commenta le “imprese culinarie” di personaggi molto noti su Instagram e TikTok (da Rita De Crescenzo a Chef Ruffi). Ma il confine tra il personaggio social e Lettera è molto labile, soprattutto per la scelta di raccontare sulle piattaforme quella che, a tutti gli effetti, è la sua vita di tutti i giorni, compresa la sua attività didattica: «“Robbertino” fa parte di alcuni degli studenti a cui ho fatto lezione, ma Robbertino di base è Michele. Cioè la parte più leggera, la parte che si lascia andare, la parte che quando non è “professionale” è comunque molto leggero. Infatti, in gran parte della giornata sono Robbertino. Certo, non così estremo con la cadenza, però Robbertino è anche Michele. Quindi è stato facile creare questo personaggio».
Chi lavora con la voce, come Michele Lettera, spesso lavora dietro le quinte con il volto che non viene sempre riconosciuto. Ma l’effetto social può anche provocare diversi “incidenti”: «A me capita anche spesso di incontrare persone che mi conoscono come “Robbertino” e mi dicono: “Ah ma tu quindi sei… ma qual è la tua voce? Cioè come parli normalmente?”. Quindi persone che, magari, non capiscono che quello è un personaggio ed è una cosa che a volte mi diverte anche. Quindi sì, Robbertino ha contribuito in parte a questa cosa, anche se dipende dalle persone. Persone che mi conoscono da tanto tempo, magari tramite i social, riescono a capire che quello è un personaggio. Altri invece capiscono che quello sono io. Cioè che quello sono veramente io. E c’è anche qualcuno che mi ha anche detto: “Eh però potresti fare qualcosa per questa cadenza che hai”».
La difficile matassa dei social
Questo è solo uno degli aspetti. Come abbiamo più volte raccontato, la rete è il regno degli equivoci e del dito puntato. E anche a Michele Lettera sono accaduti incidenti spiacevoli: «Non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Di sicuro, però, ci sono persone che sono pronte a vedere il marcio in qualsiasi cosa e si mettono lì con lanternino a cercare. Io dico sempre che queste persone, spesso, hanno il marcio che vedono negli altri. Probabilmente è il marcio che sono abituati a pensare, a vivere nella loro testa e quindi pensano sempre che ci sia qualcosa di male nelle altre. Come quando mi dicono che sono razzista, perché a volte io faccio questa rubrica che è “L‘incubo dei Nas”: nella loro testa, io derido queste culture. Io, però, metto tutti sullo stesso piano. Faccio un esempio: chissà perché non mi dicono mai che sono razzista quando commento i pastassini americani». Piccola nota per chi non conoscesse Michele Lettera/Robbertino: il termine pastassino non è altro che la crasi tra “pasta” e “assassino”. Una sola parola che racchiude un concetto ben noto: l’errata cottura della pasta da parte di chi non è italiano.
E qui, come ci ha già raccontato Martina Felloni in una precedente intervista, che nasce un problema: cosa sono diventati, oggi, i social network?: «C’è veramente un problema di fondo, che in parte denota proprio questa voglia di riversare sui social non più il divertimento e la leggerezza, ma andare a cercare e dire la propria opinione anche quando non è richiesta assolutamente. Si tratta, ovviamente, solo di una parte, perché poi mi arrivano anche tanti messaggi privati – anzi la maggioranza – di qualcuno mi dice, per esempio, “io sono in ospedale, mi stai facendo passare dei momenti sereni e ti ringrazio”. Quella, per me, è la cosa più bella che mi possa arrivare».
Per fortuna, dunque, i lati negativi viaggiano su un binario parallelo a quelli positivi. E di buono c’è anche anche chi è “oggetto” delle ironie di “Robbertino”, ha una visione molto più leggera di tutto: «Con molti di loro ci sentiamo. Non dico sistematicamente, ma ci sentiamo. Per esempio Rita De Crescenzo, lei spesso mi commenta sotto i video. Anche Chef Ruffi qualche volta mi ha scritto anche in maniera giocosa, in maniera divertente. Devo dire che nessuno dei creator ha mai scritto minacciando qualcosa, si sono tutti tutti divertiti. Ecco, questa è una cosa bella».
Michele Lettera e il rapporto con i social
Ma come è nata la versione social di Michele Lettera? «Io sono nato come boomer sui social – ha spiegato a Giornalettismo -. Io non ero affatto tecnologico. È stata la pandemia a portarmi sui social. Io pensavo che il social più “boomer”, quello un po’ meno pronto per questo tipo di contenuti fosse Facebook. Però ritengo che il social ancora più fedele sia YouTube, perché su YouTube le persone – fin dalla sua nascita – sono pronte a seguire più il creator che le mode dei video. Sto notando proprio questa cosa, che si formano più presto delle comunità di persone che interagiscono tra di loro. Più lì che su altre piattaforme. Gli altri social sono sempre più veloci. Come TikTok, dove è quasi impossibile creare una comunità perché ogni video viene visto, viene proposto a persone, a pubblici differenti e quello ti toglie un po’ la comunità».
Una comunità che ha imparato a conoscerlo e riconoscerlo, anche per la sua voce e per il suo lavoro “dietro le quinte”. Ma i social hanno avuto un effetto sulla sua professione? «Dal punto di vista professionale non è cambiato tantissimo. Diciamo che al momento c’è stata una cassa di risonanza maggiore su quello che è il mio il mio lavoro come docente, ma al momento è stato più qualcosa di divertimento che uno stravolgimento di quella che è la mia professione. Devo dire che mi sono arrivate delle proposte anche per fare qualcosa in più. Intendo ambito televisivo o roba del genere, ma come dico anche quando mi arrivano queste proposte ai produttori, se non c’è qualcosa in cui io credo, che mi stimoli e che mi diverta, il fatto di entrare in un mondo come la televisione non è un mio obiettivo. Però non lo escludo. Se dovesse arrivare da un programma particolare una richiesta su qualcosa che mi diverte, allora va bene».
Il futuro
I piani futuri e futuribili saranno valutati di volta in volta. Ma come si immagina Michele Lettera nei prossimi anni? «Sarò sincero: io non mi immagino tra… non mi immagino. Mi piace farmi prendere anche dal momento, dagli stimoli che posso ricevere in quel momento. Quello che posso dire è che un sogno sarebbe quello di essere la voce di uno dei programmi di Alberto Angela. Sono cresciuto con Superquark. La mia aspirazione massima era quella di fare un documentario su Superquark».
Con la voce, quello strumento che potrebbe essere messo a rischio dalle nuove tecnologie. Ma l’intelligenza artificiale può davvero sostituire l’uomo nell’arte del doppiaggio? «Questa è una domanda che mi viene posta spesso da molte persone, anche dai miei allievi. Al momento, almeno per altri 20-30 anni, non c’è questo pericolo. Perché io lavoro con clienti che utilizzano già i sintetizzatori vocali. Ma poi, alla fine, ritornano da me perché non sono soddisfatti. Perché per me il sintetizzatore vocale va bene se tu devi fare rifornimento alla distributore di benzina, nelle stazioni. I messaggi secchi, assolutamente privi di qualsiasi emotività. Ma già se io devo fare un racconto, devo fare uno spot, devo mettere enfasi su una singola parola, il sintetizzatore e l’intelligenza artificiale al momento non riescono. Non possono mettere l’emozione e questo, secondo, sarà così ancora per molto tempo».