Lorenzo Tosa: «I social accelerano le criticità mentali, dobbiamo trasformarli in strumento di riflessione»

Vorrei chiederti di quel giorno verrà presentato a Roma il 2 febbraio, al Libraccio di via Nazionale

01/02/2024 di Gianmichele Laino

Nel mondo delle piattaforme digitali, dove gli algoritmi orientano sempre di più le discussioni e dove persino scrivere certe parole può comportare delle penalizzazioni nella diffusione di un contenuto, a volte siamo noi stessi a creare dei tabù e a decidere che, di certi argomenti, forse è meglio non parlare pubblicamente. Lorenzo Tosa, con il suo ultimo libro Vorrei chiederti di quel giorno (che verrà presentato a Roma, presso il Libraccio di via Nazionale, il 2 febbraio alle 18) cerca di infrangere questa barriera: innanzitutto ha messo insieme le parole per ripercorrere, nelle pagine di carta, la storia del padre Bruno, morto suicida il 2 aprile 1986 quando l’autore aveva solo due anni e mezzo; poi, ha cercato di intavolare un dibattito pubblico, proprio sui social network. Un tentativo di trasformare e volgere all’utile degli strumenti estremamente sensibili quando si parla di fragilità dell’anima.

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Lorenzo Tosa parla di Vorrei chiederti di quel giorno

«Molti, leggendo questo libro e venendo alle presentazioni, mi dicono: ‘che coraggio che hai avuto’ – spiega Lorenzo Tosa ai microfoni di Giornalettismo -. In realtà, io non mi sento coraggioso. Questo libro nasce da una necessità e da un bisogno personale, dopo 38 anni in cui ho tenuto nascosta questa storia, anche a causa di quella omissione concordata che la mia famiglia ha portato avanti per diverso tempo. Perché di suicidio non si deve parlare, perché a un bambino certe cose giustamente non bisogna dirle; ma poi, quando si arriva all’età adulta, quel silenzio ha continuato ad aleggiare sulla nostra famiglia, senza che nessuno si sia preso la responsabilità di picconare quel muro di pregiudizi e tabù che ancora esistono e resistono sulla salute mentale e sul suicidio. Quando sono diventato io genitore, mi sono trovato a essere padre senza sapere cosa volesse dire essere un figlio: ho voluto scrivere questo libro per colmare una lacuna per me e per consegnare a mio figlio una storia che fa parte della sua famiglia e delle sue radici. Grazie a questo libro, posso dire oggi chi era mio padre e, grazie alla sua storia, alla sua fragilità, alla stagione che ha vissuto, posso dire anche chi sono io».

Per spiegare quanta connessione ci sia tra il libro Vorrei chiederti di quel giorno e la dimensione della confessione pubblica, bisogna tornare indietro di due anni. Sulla sua pagina Facebook (una vera e propria agorà pubblica da 600mila followers), Lorenzo Tosa parla, per la prima volta in pubblico, della vicenda che, negli anni Ottanta, aveva toccato la sua famiglia e l’aveva segnata per sempre. «La decisione di scrivere questo libro – spiega – è maturata anche in nome di una responsabilità che io sentivo di fronte alle tante persone che mi seguono tutti i giorni. Io per primo ho parlato di trasparenza, di non avere paura dei tabù e dei pregiudizi, di affrontare i nostri limiti, di dare un nome alle nostre paure. Del resto, per certi tratti, le persone in Italia, forse per la profonda cultura cattolica che attraversa il nostro Paese, per il concetto di famiglia e il concetto di colpa, tendono a tenersi tutto dentro. E l’ho capito proprio quando, per la prima volta, ho scritto un lungo post su Facebook, ho dato un nome a mio padre, ho fatto una una descrizione della sua storia, ho usato la parola suicidio: da quel momento in poi, mi sono arrivati molti messaggi pubblici e soprattutto privati di gente che mi ringraziava senza che io avessi fatto nulla di particolare. In tanti hanno storie come queste nella propria famiglia, c’è un mondo di persone che – a bassa voce – pronunciava questo suo vissuto a cui io, con quel post e ora con questo libro, ho fatto da megafono».

Parlare sui social network di un tema come quello del suicidio può essere rischioso. Non sempre si trovano le parole giuste per affrontare questo argomento e, spesso, si può finire in una spirale controproducente. Nell’epoca degli haters, delle parole scritte e pronunciate con troppa leggerezza, nelle accuse scagliate spesso senza conoscere i contesti, la dimensione pubblica delle piattaforme può essere causa scatenante di fragilità mentale. «Oggi stiamo vivendo sui social un tempo acceleratissimo – ci dice Tosa -, nel quale fatti anche molto privati, che in passato richiedevano anni di elaborazione, adesso scatenano, nel giro di un pomeriggio, anche delle reazioni estreme. Lo abbiamo visto con la ristoratrice di Lodi: il suicidio è diventato il tema del giorno, raccontato però nella maniera peggiore possibile, cercando i colpevoli e i responsabili, utilizzando gli stessi mezzi con cui accusavamo altri di aver messo alla gogna la ristoratrice. In quella circostanza, è uscita fuori tutta la difficoltà che abbiamo ancora a parlare di certi temi e soprattutto i social si sono dimostrati uno strumento pericoloso se non usato con la giusta cura. I social oggi sono uno strumento che accelerano le situazioni di criticità mentale, lo abbiamo visto: l’obiettivo però è trasformarli in strumento di riflessione, in un luogo dove mettere in condivisione qualcosa che vivono tutti. Non è un caso che io mi sia appoggiato al progetto Itaca, un’associazione che si occupa da anni di tutela della salute mentale, perché avevo il bisogno di avere accanto a me una realtà di addetti ai lavori che mi aiutasse a tirar fuori le parole corrette per parlare di suicidio, nel libro e anche sugli stessi social network».

Sicuramente, la scrittura di un libro, l’approfondimento, la possibilità di accompagnare il lettore in un ragionamento complesso favorisce delle riflessioni più rilevanti e meno polarizzanti. In Vorrei chiederti di quel giorno, c’è una forte componente autoriale che affranca Lorenzo Tosa dall’essere “personaggio influente sui social network” e gli restituisce una dimensione in cui si trova a suo agio: «In questo libro c’è il tentativo di affrancarmi da quella che può diventare un’etichetta e una gabbia: il personaggio social. Qual è il confine tra il giornalista e l’influencer? Non lo sappiamo. Figuriamoci provare a stabilire il confine tra influencer e scrittore. Con questo libro, ho voluto creare una tappa di passaggio: vanno bene i social e io devo tanto ai social che mi hanno permesso di arrivare a milioni di persone ogni mese, ma allo stesso tempo ti tolgono gradi di complessità. Volevo riappropriarmi di questi gradi di complessità che mi erano familiari, avendo studiato scrittura ed editoria: oggi, grazie a questo libro, sono tornato al mio vecchio amore, alla letteratura. Devo dire che, dalle prime reazioni, questa cosa è stata capita».

La distribuzione “digitale” di Vorrei chiederti di quel giorno, grazie anche a un audiolibro

Proprio in questi giorni, Lorenzo Tosa ha terminato la registrazione della versione audiolibro di Vorrei chiederti di quel giorno, curata da Storytel e Rizzoli. Una scelta sicuramente interessante, dal momento che – tecnicamente parlando – si tratta di un mercato giovane e in crescita (secondo i dati dell’Associazione Italiana Editori, c’è stato un +12% nel 2023 rispetto all’anno precedente). Una scelta che parte dalle piattaforme digitali per offrire una nuova vita a uno degli strumenti più antichi del mondo, il libro di carta: «In un tempo molto rapido – spiega Tosa -, in cui tutto si consuma in fretta, in cui corriamo da una call all’altra, facciamo fatica a ritagliarci spazio per la lettura su carta. L’audiolibro, da questo punto di vista, offre un altro tipo di esperienza, né migliore né peggiore: è un mercato che potrebbe aprire nuovi orizzonti, perché cambia la dimensione del rapporto con il libro. Non sei più tu che ti rapporti con l’autore, ma c’è la mediazione di una voce narrante. In questo caso, la voce narrante sono io: è stato naturale per Storytel, per Rizzoli e per il sottoscritto optare per questa scelta, vista la natura molto intima di questo libro. Ritengo da osservatore esterno che gli audiolibri non possono che crescere nel tempo: si tratta solo di educare all’ascolto, ma una volta che ti rendi conto dell’efficacia dell’audiolibro, si possono duplicare, triplicare i libri fruiti in un anno».

Tra gli strumenti digitali e quelli della distribuzione tradizionale, in ogni caso, il libro sembra essere maturo per avviare quel processo di “liberazione” dalla penna del suo autore. Del resto, nessuno – dopo aver dato alle stampe un testo – è più il suo unico padrone. Le parole, tra una presentazione e l’altra, tra una riflessione sui social network e l’altra, stanno già prendendo una loro direzione: «Quando quelle frasi che hai covato per anni come se venissero fuori da un mondo interiore sfondano la parete del mio ufficio e iniziano a passare di bocca in bocca e di lettura in lettura, succede che se ne stiano appropriando i lettori – conclude Lorenzo Tosa -. La storia di Bruno, mio padre, è un po’ il simbolo di tante persone che hanno vissuto quella stagione lì, quella degli anni Sessanta e Settanta, e in seguito alla sconfitta di quegli ideali non si sono più ritrovate. Sono storie come tante, in cui tanti si riconoscono: è una sorta di magia che si sta verificando e che restituisce bene il senso profondo che ha ispirato questo libro».

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