Le loot box nei videogiochi, ovvero il gioco d’azzardo che coinvolge i minori
Sono molte le associazioni di consumatori che, nel mondo, hanno evidenziato la relazione che intercorre tra gioco d'azzardo e loot box nei videogame
12/04/2023 di Ilaria Roncone
Del problema delle loot box e del gioco d’azzardo videogame si è parlato parecchio già la scorsa estate. Andiamo con ordine: cosa si intende per loot box? Si tratta di oggetti virtuali comuni nel gaming online che contengono premi virtuali non monetari che, una volta ottenuti, permettono al gamer di migliorare la sa esperienza di gioco o di scattare di livello. Qualche esempio? Armature, armi o – ancora – medicine e oggetti utili in generale. In un gioco di calcio, per esempio, la loot box può contenere un giocatore forte da aggiungere alla propria squadra. Il problema è che le loot box vengono acquistate con denaro (seppure siano somme piccole).
Questi “pacchetti misteriosi” – secondo il Norwegian Consumer Council, che ha pubblicato un report dal titolo “Insert Coin: How the gaming industry exploits consumers using loot boxes” – espongono i minori e i bambini a una forma di gioco d’azzardo. Una situazione che – a più riprese – è stata evidenziata dalle associazioni di consumatori e che si punta a regolamentare.
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Loot box e gioco d’azzardo: che relazione c’è?
La criticità che accompagna i loot box, quindi, è legata al fatto che l’uso possa essere assimilato al gioco d’azzardo dal momento in cui l’utente si trova a spendere soldi reali per acquistare pacchetti a sorpresa che possono contenere oggetti di più o meno valore, più o meno rari. L’inconsapevolezza di ciò che c’è dentro potrebbe quindi spingere all’acquisto compulsivo di questi prodotti nella speranza di trovare qualcosa di valore, portando persone molto giovani e minorenni nell’ambito della dipendenza da gioco d’azzardo.
Uno studio australiano del 2018 ha dimostrato come ci sia una diretta correlazione tra l’uso di loot box e lo sviluppo di problemi legati al gioco d’azzardo. Per i giocatori che investono più denaro in loot box, i problemi legati all’azzardo sono più gravi. La grande differenza tra gioco d’azzardo e uso di loot box è evidente: nel primo caso c’è un premio in denaro, nel secondo la dipendenza mette al centro qualcosa di immateriale che sta all’interno di un mondo virtuale.
I rischi delle microtransizioni nei videogiochi
I videogiochi, come ben sappiamo, impegnano milioni e milioni di giovanissimi e minorenni nel mondo. Con la sempre maggiore presenza di giochi free-to-play – ovvero gratuiti – maggiormente diffusi anche su supporti mobile, le aziende hanno cominciato sempre più spesso a inserire le loot box in questi contesti per poter guadagnare attraverso le microtransizioni (che, per loro stessa natura, tendono ad essere ricorrenti).
La possibilità di spendere piccole somme di denaro – 10 euro reali investiti per avere 1000 monete virtuali, per esempio – mette i giovanissimi di fronte a rischi molto gravi se si considerano gli effetti dell’entrare in contatto con meccanismi del gioco d’azzardo così precocemente.
La difficoltà nel riconoscere il gioco d’azzardo
Come evidenziato anche da Agenda Digitale, le loot box – così come altre piattaforme che non necessariamente hanno una componente di gaming così alta – si muovono in un ambito di difficile inquadramento. Anche la dichiarazione congiunta di sedici autorità per la regolamentazione del gioco d’azzardo (tra cui sono presenti, in ambito europeo, Austria, Repubblica Ceca, Francia, Gibilterra, Irlanda, Isola di Man, Jersey, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Regno Unito più una americana) ha evidenziato come il gioco d’azzardo nei videogiochi sia difficile da riconoscere.
I consumatori, spesso e volentieri, non sono dotati degli strumenti che permettono di distinguere quello che è un videogioco da quello che è gioco d’azzardo. Questo pericolo, ovviamente, diventa ancora più reale se gli utenti sono minorenni. Tra gli altri, il Belgio è stato l’unico paese che ha bandito ufficialmente – almeno finora – le loot boxes. In altri paesi – tra cui gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito – si discute del problema mentre la maggior parte degli altri (e l’Italia è tra questi) la discussione sembra essere ferma a livello delle associazioni di consumatori.