Le accuse al CEO di Google nella causa sulla “navigazione in incognito”

Secondo gli avvocati che rappresentano i querelanti, i vertici di Mountain View erano a conoscenza delle criticità nella descrizione della modalità come "privata". Il processo prosegue

26/09/2021 di Enzo Boldi

Google sapeva che la modalità di “navigazione in incognito” non era privata, ma ha preferito non dare adito a questa informazione (reale) per evitare di porre la vicenda sotto la luce dei riflettori. È questa una delle accuse (vecchie e nuove) mosse contro l’azienda del Big Tech nella causa portata avanti da alcuni cittadini contro Mountain View. La denuncia è stata deposita nel mese di marzo del 2021 e nelle ultime ore sono arrivati importanti aggiornamenti da parte dell’accusa che vuole coinvolgere anche i piani alti.

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In particolare, si fa riferimento al ruolo di Sundar Pichai: il CEO di Google, infatti, sarebbe stato conscio che il definire “privata” la modalità di navigazione in incognito era fuorviante e non in linea con il concetto di privacy inteso dagli utenti. Come riporta la Reuters, infatti, i team di avvocati che guidano e sostengono questa causa nei confronti del gigante del Tech sostengono che il capo di Mountain View fosse a conoscenza di questa criticità: «È stato informato nel 2019 nell’ambito di un progetto guidato da Twohill che Incognito non doveva essere definito “privato” perché ciò poteva far crescere “il rischio di esacerbare le idee sbagliate (e note) sulle protezioni fornite dalla modalità di navigazione in incognito”».

Navigazione in incognito su Google, le accuse al Ceo

Ed è questa la nuova accusa mossa nei confronti di Google. Nuova, ma vecchia. Perché, come poi specificato negli anni seguenti dalla stessa azienda, l’arcinota modalità in incognito non era privata. Il browser, infatti, prosegue nel tracciamento e nella raccolta dati degli utenti. Insomma, non si tratta di ricerche “in privato”. Questa modalità, di fatto, consente solamente impedire il salvataggio dei dati sul dispositivo utilizzato dall’utente. Tutto il resto, dunque, prosegue come se si facessero ricerche classiche. Google sapeva che parlare di “privato” poteva essere fuorviante, ma solo dopo alcuni mesi ha deciso di rendere nota questa evidenza. E da qui è nata la causa che proseguirà davanti ai giudici della California.

(foto di copertina: da Google – modalità navigazione in incognito)

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