Il lavoro sui social non è diverso da quello nel mondo reale. L’intervista a Elena Rossi

Il lavoro sui social non è sempre facile come potrebbe apparire. Le parole di Clio Zammatteo, meglio conosciuta come ClioMakeUp, hanno portato l'attenzione su questo tema. Abbiamo contattato Elena Rossi per approfondire l'argomento

06/03/2023 di Giordana Battisti

Elena Rossi gestisce il blog Vanity Space dove scrive principalmente di prodotti cosmetici biologici. È presente anche sui principali social network, in particolare Instagram, dove è seguita da più di 50mila persone. Giornalettismo ha deciso di contattarla in quanto creatrice di contenuti sui social network e imprenditrice per chiederle di esprimere la propria opinione sull’argomento che è stato sollevato dal video che Clio Zammatteo, meglio conosciuta come ClioMakeUp, ha pubblicato giovedì sul proprio account Instagram. Nel video Zammatteo parla di quanto i social network siano cambiati da quando nel 2008 ha iniziato a creare contenuti per la sua community su YouTube e ha fatto alcune riflessioni su come funzionano i social al giorno d’oggi, in particolare sui meccanismi non sempre trasparenti che regolano, tra le varie cose, anche la pratica dell’influencer marketing.

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Cosa emerge dal video di ClioMakeUp sul lavoro sui social dei creatori di contenuti e degli influencer?

 Rossi ha ascoltato più volte la riflessione di Clio su Instagram e ha detto a Giornalettismo che l’unica sensazione che ha provato «è stata di rammarico e di amaro in bocca» perché «in pochi minuti è riuscita a toccare un tasto per molti dolente, ma estremamente necessario». Secondo Rossi le parole di Zammatteo, con la quale si può essere o meno d’accordo, sono utili proprio perché consentono di affrontare un tema che spesso viene minimizzato: «I social, per chi ci lavora seriamente, con etica e con passione dalla mattina alla sera, non sono un luogo lavorativo tanto diverso dal mondo reale, e con “mondo reale” intendo qualsiasi tipo di lavoro. Non è facile spiegare oggi alle persone questa nuova professione ed essere riconosciuti per ciò che si fa, perché purtroppo accanto a professionisti seri, c’è un marasma di persone che fingono di essere professionisti, ma in realtà non lo sono e questo crea una confusione immane, portando la maggior parte delle persone a generalizzare».

«Emergere nel mondo degli influencer e arrivare a ricoprire un ruolo ben preciso che risponda anche alle aspettative degli utenti richiede impregno e dedizione. Ad oggi il pubblico non è fatto solo di supporter, ma da una moltitudine di clienti, ognuno con le proprie idee ed esigenze e spesso ci sono persone che si esprimono con cattiveria». Secondo Rossi il video di Zammatteo aveva proprio lo scopo di sottolineare questo aspetto, spesso definito “tossico”, dei social: «Spesso è proprio così, ma bisogna anche ricordare che a tutti capita di dover lavorare “per forza”, facendo cose che non allietano il proprio spirito o che non sono ben allineate con il proprio carattere». Non tutte le persone che vivono situazioni spiacevoli o insostenibili sul posto di lavoro hanno la possibilità di sottrarsi o di esprimere il proprio dissenso, a differenza di Zammatteo: «Clio invece sul suo account monumentale, perché di questo si tratta, può farlo. Per questo se ne avessi il potere, le regalerei una buona dose di menefreghismo, che la aiuti a ricordarsi che fa parte della “vecchia guardia”. È stata una tra le prime a trasformare i suoi “social” in una professione a tutti gli effetti, dando vita ad una community sana, basata sulla condivisione di passioni e valori comuni».

Il “dietro le quinte”

Rossi ha iniziato a lavorare sui social a partire da aprile del 2013 e tra poco il suo blog compirà dieci anni. «In questi anni non ho notato nessun tipo di cambiamento. La competizione c’è sempre stata, sana e malsana, i detrattori pure, la cattiveria e la cafonaggine anche. Non ci vedo assolutamente niente di diverso» dice Rossi. «All’inizio mi capitava spesso di bloccare le persone maleducate o cattive e mi capita tuttora di farlo. Questo non significa non saper accettare le critiche perché credo che siano alla base della crescita personale, ma devono essere fatte con educazione e con rispetto per fare in modo che assumano un ruolo fondamentale e prezioso per migliorarsi». È vero, sostiene Rossi, che nel mondo dell’influencer marketing ci sia poca meritocrazia e che talvolta si crei molta competizione tra chi crea contenuti sui social per lavoro e tra gli influencer. «Ci sono diversi aspetti per cui ritengo che questo mondo sia sempre stato in parte tossico e malsano. I marchi sia stranieri sia italiani spesso si avvalgono degli uffici stampa per la gestione dei propri account e delle relazioni con influencer e content creator e purtroppo in molti casi la meritocrazia e la qualità dei contenuti non viene privilegiata ma si fa caso solo al numero dei follower, spesso neanche veritiero. Ovviamente questo non riguarda tutti gli uffici stampa ma questo contribuisce a creare dinamiche spiacevoli. Spesso, a peggiorare la situazione, contribuiscono anche le community di alcuni brand che non hanno un comportamento esemplare».

L’unico modo per sottrarsi a queste logiche è ignorarle, dice Rossi: «Bisogna contare sull’intelligenza del proprio pubblico che sa distinguere cosa è onesto da cosa non lo è. Il mio pubblico non mi ha mai delusa». Rossi non sente la responsabilità di dover essere presente sui social in modo costante, senza pause: «Sui social ci sto il giusto, non un minuto di più, e posso farlo perché la mia community è solida. Quando ho voglia di condividere la mia vita privata lo faccio molto volentieri e quando non mi va non lo faccio. Non sono sempre al massimo delle mie potenzialità e il mio pubblico sa benissimo che dall’altra parte dello schermo c’è una persona reale. Da luglio a dicembre, per esempio, sono stata assente dai social perché stavo lavorando alla creazione della linea viso per il brand Essere. Quando sono tornata il mio pubblico era ancora lì. Ha atteso, sapeva cosa stavo facendo e nessuno è andato via. La cosa più importante è costruire in modo solido la propria community».

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