Il vero punto centrale dello stress digitale degli influencer è il caporalato di Big Tech

Perché uno o una influencer "cambia" e non fa più le cose che faceva all'inizio: c'entra il modo di procedere dei social network che utilizza e che costringono i creators a piegarsi alle proprie regole

06/03/2023 di Gianmichele Laino

La domanda è sempre la stessa: Facebook, Instagram, TikTok sono degli editori o no? Loro negheranno fino alla fine (e – rispetto a questa negazione – c’è anche una sorta di senso di protezione rispetto a una legge, il Communications Decency Act nella sua famigerata Sezione 230, che non equipara i social network a media company); ma – nei fatti – i social network si comportano esattamente come editori che guardano esclusivamente ai propri interessi, senza considerare poi troppo l’essenza e il progetto di chi lavora per loro. Questo spiega, in qualche modo, anche il recente sfogo di Clio MakeUp sui social network: non soltanto da inquadrare nel campo dell’analisi mass-mediologica rispetto a un ecosistema dell’informazione che, soprattutto con gli influencer, prevede più di una stortura; ma da collocare a buon diritto nella sfera di quello che noi consideriamo la battaglia contro la dittatura dell’algoritmo.

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Clio MakeUp e social network, si mostra in tutta la sua evidenza il caporalato di Big Tech

Al di là del fatto, che potremmo sottoscrivere, dei giornali che – ormai – per fare click devono per forza parlare in toni sensazionalistici di tutto ciò che fanno gli influencer (gli unici veri attrattori di pubblico, altro che guerra in Ucraina o le beghe politiche che ogni giorno ci vengono proposti dai siti web di news), Clio MakeUp ha messo in evidenza una cosa molto seria nel lungo reels con cui ha lanciato una significativa accusa al mondo dell’influencer marketing: «Ho cominciato – ha detto Clio Zammatteo – facendo anche recensioni negative, dicevo quello che mi piaceva e quello che non mi piaceva: questo era quello che vi piaceva di più. Potevo farlo perché le mie parole non venivano manipolate. Non c’erano giornalisti e altri influencer che prendevano le tue parole e le rigiravano e le usavano per attaccarmi».

Quello che stupisce maggiormente è il riferimento agli altri influencer. Perché questi ultimi hanno compreso perfettamente cosa bisogna fare per essere competitivi sui social, pur non avendo la stessa fan base di personalità affermate come Clio MakeUp: occorre creare divisione, alimentare il bipolarismo delle opinioni, creare interazioni attraverso le posizioni più estreme che possono raccogliere intorno a loro il numero più alto possibile di interazioni. Lo scontro, la dialettica non serena, le affermazioni forti rappresentano sicuramente quello che più piace all’algoritmo dei social network. Non per il sadismo in sé di portare alla lite chiunque, ma semplicemente perché le opinioni polarizzanti collezionano intorno a loro commenti, reazioni, condivisioni. Quegli strumenti che determinano il ranking di un account sui social network.

La scelta editoriale dietro all’algoritmo dei social network

Dare una notizia in maniera oggettiva, così come proporre una recensione che possa prendere in considerazione aspetti positivi e aspetti negativi di un prodotto, non paga, semplicemente perché non catalizza l’attenzione. Gli utenti dei social network – che nei social network stessi trovano una sorta di valvola di sfogo – hanno bisogno di esprimere la loro opinione non misurata, senza filtro, da libero battitore. Per questo si sentono più a loro agio quando una discussione è già iniziata e ha, magari, già assunto toni molto forti e netti.

Il fatto che l’algoritmo premi questa tipologia di contenuto determina due cose: la fine dei progetti che hanno scelto, per linea di principio, di evitare la polarizzazione dell’opinione; il fatto che Instagram o Facebook costringano chi vuole continuare a cavalcare l’onda dell’hype ad adattare i propri contenuti a questo schema. C’è questo, probabilmente, all’origine del lungo sfogo di Clio MakeUp: il fatto di non riconoscersi più in quello che l’ha resa imprenditrice digitale di successo, grazie a un utilizzo dei social il più naturale possibile.

Se aggiungiamo, inoltre, che la maggior parte dei contenuti proposti dai creators con questa logica monetizzano molto poco e che, per ottenere delle cifre significative, gli influencer devono produrre sempre di più e con sempre maggiore frequenza (il sistema anglosassone su cui si basano i social network predilige sempre la quantità alla qualità), ecco che risulta evidente come si possa parlare a buon diritto di caporalato delle grandi piattaforme. Portare all’estremo l’attività del creatore dei contenuti, costringerlo a lavorare secondo le metriche decise al di là dell’oceano, spingerlo – attraverso l’illusione di una crescita nel numero dei followers – a comportarsi sempre più in questo modo: è un modello che non guarda affatto alla tipologia di contenuto proposto, ma soltanto al suo effetto sulla community. Sempre la quantità, a dispetto della qualità.

E se l’algoritmo premia i contenuti a tal punto da costringere alcuni progetti a cambiare identità, ecco la risposta alla nostra domanda di partenza: si tratta di uno strumento editoriale, e non c’è Sezione 230 che tenga. Clio MakeUp ha colto nel segno e ha avuto il coraggio di mostrarsi come vittima di questo sistema e non semplicemente come alimentatrice di tutto ciò. Ha affermato che il suo cambiamento è dettato da una scelta – che noi definiamo, quindi, editoriale – delle piattaforme social, dove la concorrenza sta diventando sempre più spietata e dove creators senza scrupoli (anche senza un vero e proprio progetto) possono comunque trovare una loro visibilità rispettando alla lettera le ultime modifiche di un algoritmo. Sulla forma scelta per comunicare tutto ciò, ovviamente, ci sarebbe da riflettere ulteriormente: presentare questa critica come un argomento allo stesso tempo divisivo e polarizzante non ha fatto altro che assecondare la linea dei social network stessi. Ma anche questo è un segnale molto forte che ci indica come, ormai, la spirale è partita. Ed è difficile tirarsi fuori da questa centrifuga.

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