Come è cambiato il lavoro delle case discografiche con l’avvento dei social?

Oggi si punta a brani che abbiano quei 15 secondi potenzialmente virali per gli audio di TikTok e dei Reel. Ne abbiamo parlato con l'etichetta discografica PaKo Music Records

02/03/2023 di Ilaria Roncone

Come è cambiato il lavoro delle case discografiche con l’avvento dei social network? Partiamo dal presente: il ruolo dei TikTok e dei reel di Instagram nel lancio di canzoni – o meglio, spezzoni di canzoni – che diventano virali e innegabile. Talmente tanto che, all’atto pratico, esistono figure e formati musicali legati ai social che le case discografiche stanno sfruttando. Per capire meglio questo panorama abbiamo chiamato in causa PaKo Music Records – etichetta milanese gestita dell’agenzia Music & Media Press di Elisa Serrani – cercando di inquadrare meglio il rapporto che c’è tra etichette discografiche e social.

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Case discografiche e social: cosa è cambiato nel lavoro delle etichette?

Secondo un portavoce di PaKo Music Records – etichetta nata nel 2020 – i social network hanno, in parte, facilitato il lavoro di chi si occupa di scovare e gestire talenti musicali: «Io trovo sia più semplice trovare gli artisti, comunicare con loro, confrontarsi tra di loro e riuscire a farsi notare». C’è da considerate, però, anche il rovescio della medaglia della musica in streaming: «Poi è anche vero che con la musica in streaming tutti possono pubblicare tutto, anche progetti qualitativamente ed oggettivamente pessimi».

Di certo c’è che i meccanismi algoritmici come quello di TikTok – con un audio di 15 secondi che diventa virale e viene utilizzato milioni di volte, diffondendosi in maniera virale – hanno cambiato la ricetta, andando a influenzare sempre più l’industria discografica se si considera che esistono agenzie e figure professionali ingaggiate dalle etichette che si occupano di rendere virali le canzoni degli artisti e di produrre mix che possano spopolare tra TikTok e Reel di Instagram (di recente è capitato a un brano di Justin Bieber, come raccontato sul New York Times).

C’è da dire che, al di là delle figure specializzate – sostiene PoKo Music Records – «se un prodotto è  valido, ben definito e soprattutto se il brano ha qualcosa da comunicare, o un ritornello che rimane in testa e coinvolge, può arrivare a tutti. Poi si sa, quando una cosa funziona, si cerca il modo di entrare per arrivare il più possibile». Proprio questo sarebbe il punto, con TikTok, «un social che funziona e tutti ne prendono atto», scegliendo di giocare quel gioco con quelle regole.

«Se la musica perde qualità non è colpa né dei social né dello streaming»

Tutto considerato, quello che abbiamo davanti sembrerebbe quasi essere un mercato musicale assoggettato ai meccanismi dei social. Meccanismi che, come succede spesso quando si cerca spasmodicamente la viralità, possono abbassare la qualità del prodotto. Secondo il portavoce di PoKo Music Records, però, le cose non stanno così (almeno non del tutto): «Io credo – ha concluso l’intervista – che se la musica perde qualità la colpa non è dei social e nemmeno dello streaming. La colpa è di chi propone la musica in primis e, di chi l’ascolta poi».

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