La musica entra nel mondo del digitale grazie all’Mp3 | RAM – La rete a memoria

Come è nato l'Mp3 e in che modo ha cambiato il modo di ascoltare la musica? Ce lo ha spiegato Leonardo Chiariglione, fondatore dell'Mpeg

03/08/2022 di Clarissa Cancelli

Chi non conosce l’Mp3? Grazie a questo standard (un algoritmo di compressione audio), la musica è entrata nel digitale rivoluzionando completamente il modo di ascoltarla. Nell’ambito del nostro format RAM – La Rete A Memoria, abbiamo deciso di intervistare Leonardo Chiariglione, l’ingegnere italiano che ha fondato l’Mpeg, il gruppo internazionale di esperti che ha prodotto gli standard audio-video Mpeg-1, Mpeg-2 e, appunto, l’Mp3.

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Perché si definisce inventore dell’Mpeg e non dell’Mp3?

«Essere presentato come inventore dell’Mpeg significa riconoscermi il ruolo di avere inventato l’organismo che ha prodotto una enorme quantità di standard che hanno cambiato la nostra vita. Abbiamo cominciato a crearli nel 1988, sono quindi passati 34 anni. Ora l’Mpeg, quell’organismo che ho creato, non c’è più, ma i suoi standard esistono ancora. Mpeg-1, Mp3, Mp4: sono stati tutti frutto di una collaborazione di ricercatori che hanno combattuto per questa idea».

Come è nata l’idea?

«Inizialmente dovevo lavorare sul video-telefono. Questa cosa, allora, non andò avanti. Mi ero detto che non bisognava lavorare su questa tematica, ma sul video per entertainment, che aveva un mercato più chiaro. Ma bisognava farlo attraverso degli standard. E così, ho creato questo gruppo che si è occupato di crearli. Ho pensato che servisse uno standard audio e così, con il lavoro di più ricercatori, è nato l’Mp3».

Che cosa ha rappresentato questo progetto?

«Più che un progetto è stato un risultato, una scoperta di che cosa la tecnologia data nelle mani di milioni di persone potesse diventare. Perché le nostre tecnologie non sono qualcosa di fisico, non sono un oggetto solido: sono sempre pronte a subire metamorfosi. Chi aveva spinto di più per realizzare lo standard Mp3 aveva una tecnologia in mano, ma non sapeva bene cosa farne. Ha cominciato a fare cose finché qualcuno ha scoperto che c’era del codice scritto nel linguaggio di programmazione e che questo codice si poteva fare girare sul pc di allora».

Può spiegare il processo che ha portato all’Mp3?

«Stiamo parlando della metà degli anni 90. Ma anche con quelle macchine siamo riusciti a fare la decompressione dell’Mp3. La compressione non era in tempo reale, non era necessario che lo fosse. Io devo sentire la musica in tempo reale, non la compressione. Ciò che era importante era che quella traccia audio sul compact disk veniva portata, sotto Windows 95 che già allora nella sua interfaccia grafica aveva la possibilità di prendere una traccia audio da un CD, su un computer. Su questo file si poteva poi applicare la compressione. Il file compresso, che era 20 volte la dimensione di prima (che allora era tantissimo), si poteva mandare via internet ai propri amici e fare distribuzione. Di lì poi nacquero tutti questi servizi su internet dove una persona poteva postare degli audio e così via: le case discografiche hanno naturalmente avuto le loro reazioni. È stato un processo magmatico alla fine del quale la tecnologia diventò questo fenomeno che ha interessato, non posso dire tutti gli otto miliardi di persone, ma una buona fetta sì».

Eravate consapevoli del fatto che avreste cambiato il mondo del digitale?

«La risposta è duplice. Ma certo, noi eravamo consci che il digitale avrebbe cambiato tutto. Sapevamo che trasformare il tutto in oggetti che non erano un’enormità di bit avrebbe cambiato le cose. Quello che non sapevamo era come le avrebbe cambiate. Quindi eravamo consci, ma non eravamo consci».

Con l’invenzione dell’Mp3 aumentò anche la pirateria musicale. Lei cosa ne pensa?

«Sono sempre stato dell’idea che la creazione di opere abbia un valore e che questo valore debba essere conservato. Come dicevo prima, sapevamo che il digitale avrebbe cambiato tutto, non sapevamo come. Il punto era la capacità di contenuti digitali di essere riprodotti in un numero infinito di volte senza perdere qualità. Le case discografiche si trovarono completamente impreparate ad affrontare il fenomeno del compact disk che prima era venduto, e che con l’Mp3, non soltanto veniva duplicato a casa propria, ma veniva diffuso ai propri amici amici, a milioni di altre persone. La scala della copia dell’opera era moltiplicata di molti ordini di grandezza. Ecco, io sono sempre stato dell’idea che si sarebbe dovuto lavorare, in modo coordinato, per trovare una soluzione a questo problema, per assicurare che chi ha creato un’opera fosse ricompensato di quest’opera. Beh, questo purtroppo non è stato raggiunto».

Nel 2020 nasce l’associazione internazionale denominata MPAI. Quali sono gli obiettivi?

«Trentacinque anni fa le tecnologie digitali applicate ai media c’erano per le applicazioni professionali, ma non avevano alcun impatto sulle persone. Con l’Mp3, con l’Mp2, l’Mp4 noi abbiamo fatto sì che l’audio digitale entrasse prepotentemente a fare parte della vita di miliardi di persone. Ecco con Mpai ci propiniamo la stessa cosa: che le tecnologie di intelligenza artificiale possano avere un impatto diretto su miliardi di persone. Questo, e io ne sono ben conscio, è un progetto molto più grande di quello Mpeg, però qualcuno lo deve fare. Altrimenti saremmo rimasti lì, in isole dove capitano cose o in altre isole dove ne capitano altre un po’ diverse. Mentre con gli standard Mpeg noi abbiamo creato un solo continente. Questo è quello che vogliamo fare».

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