La bufala della Bce privata

08/05/2012 di Dario Ferri

BUBA E BANQUE DE FRANCE – I maggiori azionisti dell’Eurotower sono la Bundesbank e la Banque de France. Due istituti completamente pubblici, come stabiliscono le leggi che le regolano e come ricordano i loro statuti. Il direttorio della Bundesbank è di nomina presidenziale, che avviene tramite proposta del governo federale. Altri tre membri del Vorstand vengono invece scelti dal Bundesrat, la Camera delle Regioni della Germania, simile ad un Senato federale. Tutte nomine pubbliche, visto che la Bundesbank è un istituto dello Stato tedesco, come il Parlamento o il governo. In questo esattamente come la Bce e le altre istituzioni europee. I profitti della Buba, che arrivano via Bce, sono disciplinati per legge, e rientrano al bilancio statale fino alla somma di 2,5 miliardi di euro. I guadagni superiori a quella cifra vanno invece ad un fondo speciale istituito per finanziare i costi della riunificazione tedesca, e ai programmi congiunturali introdotti con una legge del 2009. La Banque de France funziona in modo molto simile. Fino al 1936 questa istituzione era effettivamente privata, ma fu nazionalizzata dal governo di Leon Blum, il leader del Fronte popolare formato dalle forze della sinistra transalpina. La Banque de France è rimasta quindi completamente sotto il controllo pubblico sin da allora, anche se nel 1993 fu modificata la sua governance tramite una legge che ne assicurava l’indipendenza dal potere politico. Lo stesso articolo Art. L. 142-1. Postula chiaramente come

La Banque de France est une institution dont le capital appartient à l’État, per i non francofoni, la Banca di Francia è un’istituzione il cui capitale appartiene allo Stato.

L’istituzione è governata da un Consiglio Generale, i cui membri sono tutti di nomina politica, con l’eccezione di un alto rappresentante dei dipendenti della stessa banca. Il governatore viene scelto dal Consiglio dei Ministri, mentre al Parlamento transalpino spetta l’indicazione di quattro membri, due a testa per Assemblea Nazionale e Senato. I profitti del 2011, come mostra questo documento del 2011, si sono assestati a 1 miliardo e mezzo di euro. Il dividendo maggiore, 877 milioni di euro, è andato allo Stato, il resto distribuito tra fondi pubblici e altri della stessa banca.


LA BANCA D’ITALIA PRIVATA – La bufala della Bce privata nasce da un errore di comprensione della Banca d’Italia. Il nostro istituto centrale è effettivamente formato da azionisti che sono ora banche private, ma che una volta erano pubbliche. Bankitalia però è un’istituzione dello Stato italiano, regolata da una legge del 1936, come ha ricordato la Cassazione nel 2006.

La Cassazione, con la sentenza 16751 a sezioni riunite del 21 luglio 2006, ha affermato che la Banca d’Italia “non è una società per azioni di diritto privato, bensì un istituto di diritto pubblico secondo l’espressa indicazione dell’articolo 20 del R.D. del 12 marzo 1936 n.375“. La banca, pertanto, segue regole di funzionamento differenti da quelle di una normale società per azioni, come si evince anche dallo statuto, che assegna ai soci un numero di voti non proporzionale alle azioni possedute (limitando i voti dei soci maggiori). Gli azionisti di Banca d’Italia sono le banche (oggi private) che discendono dagli istituti di credito (all’epoca pubblici) che nel corso del tempo sono entrati nel suo capitale. La Banca d’Italia è stata una società per azioni fino al 1936. In quell’anno venne convertita in Istituto di diritto pubblico dall’articolo 3 della legge bancaria del 1936 (ovvero il sopra citato regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, e successive modificazioni e integrazioni). Diciamo che esiste una proprietà formale in capo ad azionisti oggi privati, ma la Banca opera nell’ambito del diritto pubblico. Ciò implica, ad esempio, che lo status giuridico di ente pubblico esclude la possibilità di fallimento della Banca d’Italia e, tramite il suo intervento nei casi di crisi, la possibilità di fallimento delle banche private, garantendo la stabilità dell’intero sistema bancario italiano. Il capitale sociale della Banca ammonta a soli 156.000 euro, versati nel 1936. Secondo l’articolo 3 dello statuto il capitale sociale “è suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna, la cui titolarità è disciplinata dalla legge“. Le quote di partecipazione sono costituite da certificati nominativi (art.4). Ai soci sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6% del capitale e, su approvazione del Consiglio Superiore, un ulteriore 4% del valore nominale del capitale (art.39), cui si aggiunge “una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve” quali risultano dal bilancio dell’anno precedente prelevata dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve, sempre su approvazione del Consiglio superiore (art.40). Gli utili netti vengono per il resto distribuiti come segue. Il 20% degli utili netti conseguiti deve essere accantonato al fondo di riserva ordinaria. Col residuo, su proposta del Consiglio superiore, possono essere costituiti eventuali fondi speciali e riserve straordinarie mediante utilizzo di un importo non superiore al 20% degli utili netti complessivi. La restante somma è devoluta allo Stato. (art 39)

Anche in Italia la gran parte dei soldi guadagnati dalla Banca d’Italia finiscono allo Stato, e non è certo strano visto che parliamo di un’istituzione pubblica. Le banche centrali possono certamente essere criticate, così come la revisione dei loro compiti è un’importante tema di dibattito politico, soprattutto nell’ Europa attuale. Credere però in illusioni o fantasie complottiste serve solo però ad aiutare chi invece non vuole cambiare nulla dell’attuale sistema.

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