Il ruolo che Facebook ha avuto nella chiusura di BuzzFeed News

Una delle questioni più scottanti sollevate da Jonah Peretti, CEO di BuzzFeed, è quella legata ai cambiamenti che hanno attraversato le piattaforme social e che non hanno permesso di continuare con la sostenibilità di progetti che si basavano sul loro supporto

24/04/2023 di Gianmichele Laino

Il sonno della ragione genera mostri. Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 2016. Sembra una vita fa. Cosa stavamo facendo quell’anno? Il governo di Matteo Renzi e la sua comunicazione politica via social network aveva rafforzato la nostra convinzione rispetto al futuro delle nostre vite sulle piattaforme digitali. Sempre nel 2016 si stavano facendo largo le stories su Instagram, un social network che solo dal 2018 avrebbe avuto la sua consacrazione. TikTok non esisteva ancora se non come musical.ly e Facebook dominava ancora, in maniera incontrastata, il mercato delle piattaforme digitali. A quell’altezza cronologica BuzzFeed, attraverso il suo CEO Jonah Peretti, sosteneva che il futuro delle news fosse proprio sui social network. Sette anni dopo, la stessa persona indica i social network come una delle cause fondamentali della dismissione di uno dei progetti giornalisticamente più interessanti degli ultimi dieci anni, ovvero BuzzFeed News.

LEGGI ANCHE > BuzzFeed News sta per chiudere?

Jonah Peretti e il ruolo dei social network nella chiusura di BuzzFeed News

In una lunga lettera indirizzata ai dipendenti, Jonah Peretti ha indicato quali saranno i prossimi passi per una ristrutturazione completa del gruppo editoriale. Tra questi elementi di ristrutturazione, ovviamente, c’è anche la chiusura della sezione BuzzFeed News, in grado di vincere un premio Pulitzer (tanto per dirne una) nel 2021. Cosa succederà alla redazione che è stata in grado, attraverso il suo reportage sui campi di prigionia degli uiguri, di vincere il premio più ambito a livello giornalistico? La risposta è nelle righe che Peretti ha riservato ai suoi dipendenti: «HuffPost e BuzzFeed.com – afferma – hanno segnalato che apriranno una serie di ruoli selezionati per i membri di BuzzFeed News. Questi ruoli saranno allineati con gli obiettivi aziendali di tali divisioni e corrisponderanno alle competenze e ai punti di forza di molti redattori e giornalisti di BuzzFeed News». L’obiettivo a lungo termine, tuttavia, sarà quello di riunire tutte le risorse editoriali sotto l’unico brand che riesce, attraverso la sua home page, ad attirare il numero maggiore di lettori, ovvero HuffPost.

Ma perché Peretti ha avvertito l’esigenza di chiudere BuzzFeed News? Sicuramente, ci sono state delle motivazioni legate alla contingenza di alcune situazioni. Ad esempio, la pandemia o i problemi economici globali che in questi ultimi due anni e mezzo sono stati affrontati. Ma ci sono anche delle motivazioni più strutturali, legate esplicitamente alle piattaforme social: «Sono stato lento nell’accettare che le grandi piattaforme non avrebbero garantito la distribuzione o il supporto finanziario necessario per aiutare il giornalismo premium e gratuito creato appositamente per i social media». Come a dire: ho approfittato della grande illusione collettiva, fino a quando c’è stata la possibilità, ma poi sono stato miope nel pensare che questa stessa illusione collettiva potesse continuare all’infinito.

E del resto, dovevamo aspettarcelo. Nel 2016 – torniamo all’anno di partenza di questo nostro racconto – il CEO di BuzzFeed sosteneva questo: «La condivisione è la metrica più chiara per mostrare che quel media sta creando una connessione sociale tra le persone. È per questo che siamo ossessionati da quello che le persone scrivono quando condividono i nostri contenuti». O ancora: «È quasi inimmaginabile quanto sia vasta la scala globale di “social” e “mobile”: miliardi di persone accedono ai contenuti dai loro smartphone, miliardi usano i social e i contenuti consumati da queste persone non hanno raggiunto neppure metà del potenziale. La nostra industria ha un’immensa opportunità di inventare il futuro dei contenuti su piattaforme social e mobile».

Insomma: nel 2016, anno di svolta, BuzzFeed News decise di puntare tutto sui social network – in modo particolare Facebook – creando un mix di contenuti facilmente condivisibili e di contenuti di qualità. L’idea era quella di finanziare i contenuti di qualità attraverso i contenuti facilmente condivisibili. Il mercato, all’epoca, era drogato e i grandi outlet di notizie facevano fatica ad accorgersene. Attratti dalle grandi potenzialità che i social network (e la condivisione sui social network in particolare) offrivano, si prodigavano per creare contenuti in linea con questo modello. Anzi, assecondavano qualsiasi oscillazione della piattaforma pur di mantenere intatta questa stretta dipendenza. Oggi, si fa fatica a credere che una pagina che su Facebook può contare 3 milioni di followers faccia fatica – per alcuni suoi post condivisi nel feed – a raggiungere un numero di interazione nell’ordine delle decine. Anche perché, le statistiche e i report hanno sempre dato una indicazione incontrovertibile, fino a qualche settimana fa: da gennaio a marzo 2023, ad esempio, i canali social hanno rappresentato il 26% del traffico di BuzzFeed News secondo i dati di Similar Web (con il 56% del traffico social di BuzzFeed News che proveniva da Facebook). Per un progetto che su Facebook e sui canali social si basava, si può intuire come questo numero abbia provocato una immediata contrazione.

Insomma, è bastato che i social network – e Facebook in particolare -, in un momento di difficoltà, decidessero di puntare su altri contenuti (ad esempio, il video nativo al posto del link) per far crollare tutto il castello. E un modello che non ha differenziato, che non ha preso in considerazione altre strade, che – come ha ammesso lo stesso Jonah Peretti – è stato lento a comprendere questo cambiamento, non poteva far altro che chiudere. Nonostante il ruolo pubblico che si era ritagliato, nonostante la qualità dei suoi contenuti, nonostante un premio Pulitzer. Ecco, forse questo è il paradosso più grave: di fronte all’algoritmo di Facebook, un premio Pulitzer non conta nulla.

Share this article
TAGS