I grandi complottisti (anche) delle notifiche di IT-Alert

Da quando sono state avviate le sperimentazioni territoriali, sono comparse online numerose bufale. Spieghiamo come funziona veramente il Sistema di Allarme pubblico nazionale

09/07/2023 di Redazione Giornalettismo

Basta un banale messaggio condiviso sui social o la più banale Catena di Sant’Antonio su Whatsapp o Telegram per dare via al classico balletto dei complotti. Era accaduto con l’app Immuni (a prescindere dal suo “successo”) ed era stato replicato con l’AppIO. E anche oggi, dopo i primi giorni di test – a livello regionale – di IT Alert, le teorie della cospirazione non si sono fermate. Eppure si tratta di un Sistema di allarme pubblico che ha un solo obiettivo: inviare una notifica sui dispositivi mobili dei cittadini in caso di grave emergenza. Come, per esempio, un’alluvione seguita da tutto quel che – purtroppo – il nostro Paese ha già vissuto sulla propria pelle.

IT Alert, le fake news messe in giro dai complottisti

Esiste persino un movimento, i No-SMS, che hanno messo in circolo una serie di fake news su presunte pratiche di tracciamento e violazione della privacy dei cittadini. Tutte bufale, visto che il sistema (che dovrebbe entrare a regime entro la fine del mese di febbraio del 2024) non utilizza numeri di telefono e che le notifiche saranno inviate sfruttando la tecnologia cell-broadcast. Inoltre, è stato sollevata anche la questione delle possibili attività illecite di “cloni” in grado di procedere con il phishing. Ma, anche in questo caso, basterebbe porre l’attenzione sul contenuto della notifica per non cadere in truffe.

Anche perché l’intero iter che ha portato a questa fase di test ha origini lontane nel tempo: prima il nuovo “Codice delle comunicazioni elettroniche” approvato dalla UE nel 2018, poi i decreti leggi e le direttive (sia della Presidenza del Consiglio che dei Ministeri) che oltre a fornire i dettagli tecnico-operativi ha anche dettato la timeline della sperimentazione a livello territoriale. E sulla tutela dei dati personali dei cittadini si è già espresso – favorevolmente – anche il Garante Privacy italiano.

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