«Un divulgatore scientifico riporta le raccomandazioni in maniera oggettiva»: intervista a Ostetrica in Rosa
Parlando del neonato schiacciato al Pertini di Roma, per esempio, è fondamentale usare i termini giusti chiedendo l'intervento di professionisti del settore. Ne abbiamo parlato con Gloria Scarpa, l'Ostetrica in Rosa su IG
31/01/2023 di Redazione Giornalettismo
La stampa è affidabile quando si tratta di divulgazione scientifico-sanitaria? Le tematiche sono sempre delicate – dal coronavirus alla gestione delle mamme negli ospedali, come è capitato di recente con la triste vicenda del neonato morto schiacciato al Pertini di Roma – e devono essere trattate in un certo modo, facendo riferimento a determinate fonti e con un certo linguaggio dalla prima notizia che si dà all’approfondimento che si fa successivamente, a freddo. Dell’informazione in ambito sanitario-scientifico e del caso del neonato che ha dato via al dibattito (troppo spesso impreciso) su rooming-in, bed-sharing e co-sleeping ne abbiamo con Gloria Scarpa (Ostetrica in Rosa su Instagram). La giovane ostetrica, a partire dalla sua professione, ha scelto di fare divulgazione social per le mamme in gravidanza, per le neo-mamme e per quelle che – mentre il bambino cresce – scoprono mano a mano le necessità a cui far fronte avendo a disposizione professionalità diverse.
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La sfortunata morte del neonato schiacciato tra titoli e linguaggi scorretti
Ci sono tematiche molto delicate di cui sulla stampa si parla poco. Quella che è stata ribattezzata come #violenzaostetrica sui social – in maniera impropria, secondo le ostetriche – è una di queste. Se ne è parlato sui giornali e, in troppi casi, se ne è parlato male.
«I titoli di giornali hanno spinto sulla questione con l’intento di attirare l’attenzione anche a discapito di quelli che possono essere, in generale, i professionisti che lavorano nell’ambito dei reparti di maternità e infantili (parlo delle mie colleghe, delle infermiere, dei ginecologi)», ha affermato Scarpa. Ci sono stati anche tanti giornali che hanno approfondito ma lo hanno fatto ponendosi nel modo sbagliato: «Un titolo come “Il rooming-in è causa di soffocamento neonatale?” parlando del rischio di soffocamento aumentato non è corretto, mi sento di dire che ci hanno mangiato sopra in modo generale».
Di positivo c’è che «una tragedia del genere ha suscitato in molti professionisti che fanno divulgazione scientifica online, e non solo, nuove strategie d’azione e l’evidenziazione delle normative vigenti sul territorio nazionale. Ci siamo resi conto che c’è ancora molta disinformazione quando si parla della sicurezza mamma-bambino». Una narrazione a mezzo stampa che da un lato colpevolizza le mamme, dall’altro (con la nascita di hashtag dedicati) colpevolizza la categoria e che – alla fine dei conti – produce un’informazione fatta di titoli sensazionalistici e imprecisioni.
Rooming-in bed-sharing e co-sleeping non sono intercambiabili
«Bisogna evidenziare che c’è un’enorme differenza tra bed-sharing e rooming-in – spiega Scarpa ai microfoni di Giornalettismo – e che molte mamme, molti papà e molta gente in generale non conosce queste definizioni. Un titolo in cui viene detto che il rooming-in causa soffocamento neonatale può attirare, certo, ma mette ancora più ansia e preoccupazione alle mamme che sono in gravidanza e che dovranno partorire».
La differenza tra i tre termini, quindi, deve essere tenuta ben presente e correttamente comunicata: «Facciamo una premessa: tutte le informazioni che riporto sono le raccomandazioni della Società Americana di Pediatria (AAP) aggiornate al 2022. Si parla di “rooming-in” facendo riferimento alla condivisione della stanza, che viene consigliata per almeno i primi sei mesi – se non per i primi dodici mesi – di vita del bambino. Questo vuol dire, quindi, condividere la stanza per promuovere l’allattamento al seno, per promuovere la sorveglianza del bimbo e anche per promuovere il riposo della mamma e la presenza del papà, o di chi per lui, che può aiutare la mamma stessa».
Per chiarire ulteriormente i tre termini e le fondamentali differenze tra loro, torna sicuramente utile un post scritto da Ostetrica in Rosa.
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Passando al co-sleeping, invece, «si intende il dormire insieme, quindi dormire nello stesso letto, vicino e non viene mai raccomandato dalle linee guida della Società Americana di Pediatria. Se ci sono genitori che – per scelte culturali o per maggiore vantaggio secondo la coppia genitoriale – vogliono praticarlo, si tratta di una scelta personale ma non viene mai raccomandato. Questo concetto è quasi analogo al bed-sharing: co-sleeping significa dormire nello stesso letto (posizionare il bambino all’interno del letto dei genitori), bed-sharing è la condivisione ma – a quel punto – su una superficie vicina come può essere la Next To Me».
Si tratta di una differenza che, tante volte, non è stata resa nel modo giusto dai giornali: rooming-in è una cosa, co-sleeping è un’altra cosa e utilizzare i termini in maniera interscambiabile crea una maggiore confusione.
L’importanza di dare la parola ai professionisti
Questa tipologia di comunicazione ha fatto sì che persone come l’ostetrica Scarpa fossero contattate dalle follower, madri convinte che condividere la stanza col bambino fosse un bene nelle quali sono sorti dubbi: «Io e altri pediatri, in questi giorni, non stiamo parlando di altro e abbiamo organizzato delle dirette sull’argomento per esplicitare che rooming-in è diverso da bed-sharing e che il primo porta solo vantaggi sia alla mamma che al bimbo. Nei giorni in cui la notizia si è diffusa ho ricevuto molte domande di madri che avevano appena partorito e che, ovviamente, si immedesimavano e di madri in gravidanza preoccupate per la gestione del momento travaglio in assenza di un compagno o di chi per esso nella stanza».
Ed ecco perché, quando si tratta di determinate tematiche, è fondamentale che l’informazione si affidi a professionisti di settore: «Un divulgatore scientifico, un professionista, riporta le raccomandazioni e in maniera oggettiva quello che è sicuro per la mamme e per il bimbo. Secondo me è importantissimo dare voce a chi ne sa, anche semplicemente inserendolo tra le righe dell’articolo scientifico, proprio perché l’articolo acquisisce una rilevanza scientifica maggiore e poi perché ci si assicura che chi legge riceva delle informazioni sicure e oggettive».