«È rassicurante sapere che chi è iscritto su Raya ha superato una selezione»

Per capire perché le persone sono disposte a pagare per fare match su Raya abbiamo interpellato il dottor Matteo Radavelli, psicologo e psicoterapeuta

26/04/2023 di Ilaria Roncone

Cosa spinge le persone a scegliere servizi come quello che viene offerto da Raya, app di dating che – come pianifica di fare anche Tinder – prevede il pagamento di un abbonamento e il costante investimento di somme di denaro per accedere alle conversazioni con un match e per continuare a inviare messaggi? Ne abbiamo parlato con il dottor Matteo Radavelli, psicologo e psicoterapeuta specializzato – tra le altre cose – in problemi relazionali.

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Matteo Radavelli su Raya: «Non è una questione di disponibilità economica»

Il parere dello psicoterapeuta in merito a Raya e simili parte dall’assunto che i soldi, con la scelta di iscriversi su queste app, c’entrano poco: «Non ne farei una questione di soldi o di disponibilità economica – ha spiegato il dottore ai microfoni di Giornalettismo -. Una persona accede a queste app con l’idea di filtrare le persone, ovvero con l’intenzione di trovare persone che siano affini ai propri interessi ma soprattutto alle proprie volontà e di accedere ad una chat, un social o comunque un’app che permette un matching».

La rassicurazione di app che fanno la selezione all’ingresso

«Uno va su Tinder con scopi, obiettivi e aspettative, va su Meetic con altri scopi, obiettivi e aspettative e va su Raya o Inner Circle esattamente con gli stessi obiettivi. L’idea di accedere a un pool di persone dove ci sono comunque volontà affini diventa rassicurante in un mondo fatto di velocità, fatto di mancanza di tempo, fatto di frenesie. L’idea di non dover, in un qualche modo, vagliare la disponibilità e l’accessibilità dell’altro ma avere la garanzia che l’altro sia interessato, disponibile e accessibile in funzione del fatto che sia iscritto a un’applicazione di questo tipo diventa rassicurante», spiega il dottore.

«Il livello di esclusività che forniscono app del genere è alla base del principio di rassicurazione che aumenta poiché non c’è solo la garanzia che ci siano interessi e volontà in comune ma anche un medesimo status sociale e che, in un qualche modo, hanno superato una selezione». La selezione all’ingresso rende il tutto rassicurante, quindi, e «essere validato mi dà la sicurezza di essere parte di una nicchia di persone con la medesima volontà andando a mitigare il disagio sociale che si innesca quando si deve andare ad approcciare qualcuno».

Non c’è giusto o sbagliato ma solo un filtraggio necessario

Radavelli ha espresso anche un parere professionale: «Dal punto di vista meramente professionale, lato mio, non penso che sia giusto o sbagliato: si tratta solo di un mezzo sociale. Un tempo ci si mandava gli squilli, poi i messaggini, ora ci sono queste applicazioni né giuste né sbagliate che filtrano e questa cosa semplifica e rassicura, da un lato, mentre dall’altro ci sono tutti i limiti che conosciamo».

Quello che fanno le app di dating – ognuna con i propri criteri – è una sorta di filtraggio per fare risparmiare tempo, in pratica. «In questa app non è questione di accessibilità e disponibilità economica, è questione di esclusività. Accedere a un’app come questa non è diverso ad andare in un ristorante stellato piuttosto che in un club esclusivo piuttosto che in un resort esclusivo: in qualche modo chi ha accesso a un certo ambito e status sociale e tende a ricercare quello status sociale in tutti i diversi contesti che frequenta, che siano questi reali o virtuali. E se l’accesso a questa esclusività determina o prevede che ci sia un compenso da pagare, ciascuno sceglie se pagarlo o meno. Non vedo la cosa come necessariamente negativa da parte di chi fruisce».

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